Don Lucio D’Abbraccio
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Tu lo dici: io sono re
L’anno liturgico si conclude con la celebrazione della regalità di Nostro Signore Gesù Cristo che, risorto da morte e asceso al cielo, ha ricevuto dal Padre «ogni potere in cielo e in terra» (Mt 28, 18). È lui «l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine» (Ap 21, 6; 1, 8; 22, 13); è lui che «verrà nella gloria e il cui regno non avrà fine», come affermiamo nella professione di fede. Ma in che cosa consiste la “regalità” di Cristo Signore? Il brano del Vangelo che la Liturgia della Parola oggi ci propone, ci dà la risposta.
L’evangelista Giovanni ci parla di un uomo debolissimo, spogliato di tutto, povero, la cui vita dipende interamente da altri. Come si può pensare che un uomo in quelle condizioni potesse essere re? Non ha un aspetto di potenza. Nella società di oggi quello che conta è ciò che appare, come possiamo, quindi, credere ad un uomo che esteriormente mostra il contrario? Noi cerchiamo i potenti, le persone che contano, spesso li corteggiamo, li aduliamo perché pensiamo che possano aiutarci, proteggerci, farci fare carriera. A volte, è vero, possono aiutarci ma ricordiamoci del salmo 117 (118) dove si legge: «È meglio rifugiarsi nel Signore che confidare nell’uomo. È meglio rifugiarsi nel Signore che confidare nei potenti».
Quando Pilato, che rappresenta una regalità terrena e politica, gli dice: «Dunque tu sei re?», Gesù, con molta semplicità risponde: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce» (Vangelo). Gesù, dunque, afferma di essere re. Però la regalità di Cristo è una regalità umanamente incomprensibile, paradossale, contradetta e rifiutata, perché viene dall’alto. La regalità di Cristo non è il potere del comando tanto è vero che quando Gesù risponde a Pilato dicendo: «Il mio regno non è di questo mondo» è come se volesse dire: “Io rifiuto il potere, come lo intendete voi uomini; io condanno il potere, come lo cercate voi uomini. Io sconfiggo il potere, consegnandomi come uno schiavo. Sì, sconfiggo il potere! Però sia ben chiaro: Io sono re! Il re dell’Amore; il re della Misericordia; il re del Servizio. Questa è la vera regalità. E questa è la vittoria è di Dio”. La potenza di Cristo Signore, dunque, è quella dell’Amore, del Servizio e della Misericordia. Per questo lui è il più forte di tutti i forti e i potenti della terra; per questo è re dell’universo e il suo regno non sarà mai distrutto.
Il profeta Daniele, a proposito delle sue visioni, parla di un figlio d’uomo (Gesù si è presentato come il Figlio dell’uomo) che viene sulle nubi del cielo, cioè dal mondo divino, e a lui «furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo serviranno: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai» (I Lettura). Anche l’evangelista Giovanni, nel libro dell’Apocalisse scrive che: «Gesù Cristo è il sovrano dei re della terra. A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue… a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen» (II Lettura).
La regalità di Gesù Cristo, quindi, si rivela nel dono della vita: egli ha esercitato solamente il potere dell’Amore, della Misericordia, del Servizio. Essere discepoli di Gesù, quindi, vuol dire donare completamente la propria esistenza per il bene dei fratelli, servendo fedelmente il Vangelo. Siamo pronti a seguire Cristo completamente? Non è forse vero che tante volte abbiamo un’idea troppo alta di noi stessi e che mettiamo in risalto solo i nostri diritti? Abbiamo veramente bisogno della grazia di Dio per comprendere che servire è regnare e che con la vita donata ai fratelli confessiamo la nostra fedeltà a Cristo. Ci crediamo veramente? Siamo pronti? San Francesco d’Assisi ha avuto il coraggio di lasciare tutto e di seguire il Signore amando e servendo il prossimo. San Giovanni XXIII all’età di 77 anni, ha dato inizio, con il Concilio Vaticano II, alla più grande riforma della Chiesa: quella riforma che persone più giovani e più preparate non erano state capaci di decidere. Il Papa buono aveva fatto sua la strada della croce, la strada dell’umiltà, la strada del servizio. Un giorno disse al suo segretario particolare il Cardinale Loris Francesco Capovilla, venuto a mancare il 26 maggio 2016, che si dimostrava preoccupato per la decisione del Concilio Ecumenico: “Bisogna mettere il proprio io sotto i piedi. Solo così si diventa liberi”. Una piccola grande suora albanese, Santa Madre Teresa di Calcutta, contro ogni logica, è diventata, nel secolo ventesimo, il rimprovero e il conforto del mondo quando diceva: “Cristo aveva ragione quando diceva che il vero potere è amare e servire i nostri fratelli!”.
Non dobbiamo, quindi, dare agli altri il nostro amore, ma l’Amore di Dio, quell’Amore che il Padre nostro ha manifestato a noi tutti attraverso il suo Figlio Gesù che per salvarci “si è fatto obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!, a gloria di Dio Padre»” (Fil 2, 8-11).
A proposito della Croce, potenza dell’Amore di Dio, don Primo Mazzolari diceva: “Fratelli, potreste inventare una civiltà senza croce, ma ricordatevi che senza la croce la nostra sarà una civiltà senza Dio, senza amore”. E, sempre parlando della croce, Papa Francesco nella Esortazione apostolica Gaudete et exsultate, ai nn. 92-94 scrive: “La croce, soprattutto le stanchezze e i patimenti che sopportiamo per vivere il comandamento dell’amore e il cammino della giustizia, è fonte di maturazione e di santificazione…. Santifichiamoci, dunque, accettando ogni giorno la via del Vangelo nonostante ci procuri problemi, questo è santità”.