Non vergogniamoci di Gesù e del suo Vangelo
Nel brano del Vangelo c’è l’invito a non temere quelli che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di uccidere l’anima. Vi è anche il comando di non vergognarsi di Cristo e del suo vangelo ma invece di testimoniarlo davanti agli uomini con la nostra vita e con la sua parola. Ambedue questi comandi sono accompagnati da parole di incoraggiamento e di fiducia. Noi siamo nelle mani premurose del Padre che ha cura degli uccelli del cielo e ancor più per noi, suoi figli; egli conosce persino il numero dei nostri capelli e neanche uno cadrà senza che egli lo sappia. Accogliamo con serietà questa consegna di non vergognarci di Gesù e del suo vangelo. Nella preghiera Colletta così ci siamo rivolti al Padre: «O Dio, che affidi alla nostra debolezza l’annunzio profetico della tua parola, sostienici con la forza del tuo Spirito, perché non ci vergogniamo mai della nostra fede, ma confessiamo con tutta franchezza il tuo nome davanti agli uomini, per essere riconosciuti da te nel giorno della tua venuta».
Ebbene, non occorre avere sempre sulle labbra il nome di Dio – potremmo correre il rischio di nominarlo invano -, ma il suo nome deve essere espresso dalla nostra vita, che trova motivazione e ispirazione dal vangelo di Gesù.
Seguire Gesù significa essere totalmente coinvolti con la sua vita, fino a partecipare alla sua passione, passione del giusto perseguitato ingiustamente da quanti non sopportano il suo fare bene (cf Sap 2). Se Gesù Cristo ha sofferto non può avvenire diversamente per il cristiano, perché «un discepolo non è più grande del maestro» (cf Mt 10,24) e – sono sempre parole di Gesù – «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (cf Gv 15,20). È una realtà, purtroppo, vissuta dai cristiani delle prime generazioni (cf 1Pt 4, 12-19) e ancora oggi, silenziosamente, da numerosi cristiani in tante parti del mondo.
Gesù però non si limita a prospettare agli apostoli l’ostilità violenta che essi dovranno subire ma li esorta ripetutamente a non temere, a non aver paura, e infonde loro la parrhesia, quella coraggiosa franchezza che nasce da una fede salda. L’evangelista scriveva in tempi di persecuzione anche cruenta e i cristiani trovavano nei detti di Gesù incoraggiamento a perseverare, sapendo bene di essere sicuri nelle mani amorose e paterne di Dio: «perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura». È in questo senso che Gesù incoraggia noi, suoi discepoli, chiedendoci di non temere neppure di essere uccisi a causa sua: gli uomini potranno darci la morte ma non potranno mai toglierci la vera vita, quella che ci è donata dal Padre. Gesù, dunque, ci invita così a dimorare saldi in quell’abbandono fiducioso al Padre.
La storia di ogni tempo è piena di persone coraggiose che sono rimaste fedeli alle loro convinzioni, nonostante tutte le bufere. Il Novecento ha visto, accanto a cose aberranti, a guerre devastanti, allo sterminio degli ebrei, alle varie «pulizie etniche», esempi luminosi di uomini e donne che hanno dato la loro vita per non rinnegare la propria fede, per difendere con forza i diritti umani: pensiamo a santa Maria Goretti, a san Massimiliano Kolbe e a tanti altri santi. Sostenuti da questi esempi, non ci tiriamo indietro di fronte a difficoltà e incomprensioni: Gesù, il testimone fedele e verace, è accanto a noi col suo Spirito, per sostenerci nel nostro impegno di fedeltà a lui e al suo vangelo.
Nel giudizio finale ci sarà chiesto conto della nostra adesione a Gesù e del nostro amore per lui, fatto non solo a parole (cf Mt 7,21) ma con tutta la nostra persona, mostrando con la nostra condotta di vita che vale la pena di morire e dunque di vivere per lui: ma questo giudizio comincia già oggi e dipende dalla nostra capacità di «rinnegare noi stessi» (cf Mt 16,24) e lasciare che sia Cristo a vivere in noi. Solo se ci eserciteremo a fare questo potremo conoscere e amare veramente il Signore Gesù; in caso contrario finiremo per rinnegarlo davanti agli uomini (cf Mt 26,69-75) e allora anch’egli, davanti al Padre, dovrà ammettere di non averci mai conosciuti.
Ebbene sì, il mondo può perseguitarci e scatenare contro di noi la sua ostilità, ma non può minacciare la nostra condizione di cristiani, di persone che amano Gesù Cristo al di sopra di tutto, perché dipende sempre da noi, in ogni condizione, vivere con Cristo, vivere il suo Vangelo: niente e nessuno potrà mai impedirci di amare Cristo, e qui sta la fonte della nostra straordinaria libertà.
Don Lucio D’Abbraccio
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