Rimaniamo nell’amore di Cristo!
I testi biblici, che abbiamo ascoltato in questa undicesima Domenica del tempo ordinario, ci aiutano a comprendere la realtà della Chiesa: la prima Lettura rievoca l’alleanza stretta presso il monte Sinai, durante l’esodo dall’Egitto; mentre il Vangelo è costituito dal racconto della chiamata e della missione dei dodici Apostoli. Ebbene, nella prima Lettura, l’autore sacro narra il patto di Dio con Mosè e con Israele al Sinai. È una delle grandi tappe della storia della salvezza, uno di quei momenti che trascendono la storia stessa, nei quali il confine tra Antico e Nuovo Testamento scompare e si manifesta il perenne disegno del Dio dell’Alleanza: il disegno di salvare tutti gli uomini mediante la santificazione di un popolo, a cui Dio propone di diventare la sua proprietà tra tutti i popoli: «voi sarete per me una proprietà particolare tra tutti i popoli». In questa prospettiva il popolo è chiamato a diventare una «nazione santa», non solo in senso morale, ma prima ancora e soprattutto nella sua stessa realtà ontologica, nel suo essere di popolo.
In che modo si debba intendere l’identità di questo popolo si è manifestato via via nel corso degli eventi salvifici già nell’Antico Testamento; si è pienamente rivelato poi con la venuta di Gesù Cristo. Il Vangelo odierno ci presenta un momento decisivo per questa rivelazione. Quando infatti Gesù chiamò i Dodici voleva riferirsi simbolicamente alle tribù d’Israele, risalenti ai dodici figli di Giacobbe. Perciò, ponendo al centro della sua nuova comunità i Dodici, Egli fa capire di essere venuto a portare a compimento il disegno del Padre celeste, anche se solo a Pentecoste apparirà il volto nuovo della Chiesa: quando i Dodici, «pieni di Spirito Santo», proclameranno il Vangelo parlando tutte le lingue (cf At 2,3-4). Si manifesterà allora la Chiesa universale, raccolta in un unico Corpo di cui Cristo risorto è il Capo e, al tempo stesso, inviata da Lui a tutte le nazioni, fino agli estremi confini della terra (cf Mt 28,20).
Notiamo che lo stile di Gesù è inconfondibile: è lo stile caratteristico di Dio, che ama compiere le cose più grandi in modo povero e umile. La solennità dei racconti di alleanza del Libro dell’Esodo lascia nei Vangeli il posto a gesti umili e discreti, che però contengono un’enorme potenzialità di rinnovamento. È la logica del Regno di Dio, non a caso rappresentata dal piccolo seme che diventa un grande albero (cf Mt 13,31-32). Il patto del Sinai è accompagnato da segni cosmici che atterriscono gli Israeliti; gli inizi della Chiesa in Galilea sono invece privi di queste manifestazioni, riflettono la mitezza e la compassione del cuore di Cristo, ma preannunciano un’altra lotta, un altro sconvolgimento che è quello suscitato dalle potenze del male. Ai Dodici – l’abbiamo sentito – Egli diede il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d’infermità: «Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni».
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I Dodici dovranno cooperare con Gesù nell’instaurare il Regno di Dio, cioè la sua signoria benefica, portatrice di vita, e di vita in abbondanza per l’intera umanità. In sostanza, la Chiesa, come Cristo e insieme con Lui, è chiamata e inviata a instaurare il Regno della vita e a scacciare il dominio della morte, perché trionfi nel mondo la vita di Dio. Trionfi Dio che è Amore. Quest’opera di Cristo è sempre silenziosa, non è spettacolare; proprio nell’umiltà dell’essere Chiesa, del vivere ogni giorno il Vangelo, cresce il grande albero della vera vita. Proprio con questi inizi umili il Signore ci incoraggia perché, anche nell’umiltà della Chiesa di oggi, nella povertà della nostra vita cristiana, possiamo vedere la sua presenza e avere così il coraggio di andare incontro a Lui e di rendere presente su questa terra il suo amore, questa forza di pace e di vita vera.
Questo è, quindi, il disegno di Dio: diffondere sull’umanità e sul cosmo intero il suo amore generatore di vita. Quindi il nostro primo dovere, è quello di essere santi, conformi a Dio. Al riguardo, è utile riflettere che i dodici Apostoli non erano uomini perfetti, scelti per la loro irreprensibilità morale e religiosa. Erano credenti, sì, pieni di entusiasmo e di zelo, ma segnati nello stesso tempo dai loro limiti umani, talora anche gravi. Dunque, Gesù non li chiamò perché erano già santi, completi, perfetti, ma affinché lo diventassero, affinché fossero trasformati per trasformare così anche la storia. Ed infine, nella seconda Lettura abbiamo ascoltato la sintesi dell’apostolo Paolo: «Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi». La Chiesa è la comunità dei peccatori che credono all’amore di Dio e si lasciano trasformare da Lui, e così diventano santi, santificano il mondo.
Orbene, il Vangelo di oggi ci suggerisce lo stile della missione, cioè l’atteggiamento interiore che si traduce in vita vissuta. Non può che essere quello di Gesù: lo stile della «compassione». L’evangelista lo evidenzia attirando l’attenzione sullo sguardo di Cristo verso le folle: «Vedendole – egli scrive – ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore che non hanno pastore». E, dopo la chiamata dei Dodici, ritorna questo atteggiamento nel comando che Egli dà loro di rivolgersi «alle pecore perdute della casa d’Israele». In queste espressioni si sente l’amore di Cristo per la sua gente, specialmente per i piccoli e i poveri. La compassione cristiana non ha niente a che vedere col pietismo, con l’assistenzialismo. Piuttosto, è sinonimo di solidarietà e di condivisione, ed è animata dalla speranza. Non nasce forse dalla speranza la parola che Gesù dice agli apostoli: «Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino»? È speranza, questa, che si fonda sulla venuta di Cristo, e che in ultima analisi coincide con la sua Persona e col suo mistero di salvezza: dov’è Lui è il Regno di Dio!
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Animati dalla speranza nella quale siamo stati salvati, anche noi dobbiamo essere segni e strumenti della compassione, della misericordia di Cristo. Tutti siamo destinatari del desiderio di Gesù di moltiplicare gli operai nella messe del Signore: «Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe!». Questo desiderio, che chiede di farsi preghiera, ci fa pensare che tutti, nella varietà dei carismi e dei ministeri, siamo chiamati a lavorare nella vigna del Signore.
La Beata Vergine Maria, Madre della speranza e Stella dell’evangelizzazione, ci aiuti a rimanere nell’amore di Cristo, perché possiamo portare frutti abbondanti a gloria di Dio Padre e per la salvezza del mondo. Amen!
Don Lucio D’Abbraccio
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