Che tipo di terreno siamo?
Gesù, quando parlava, usava un linguaggio semplice e si serviva anche di immagini, che erano esempi tratti dalla vita quotidiana, in modo da poter essere compreso facilmente da tutti. Per questo lo ascoltavano volentieri e apprezzavano il suo messaggio che arrivava dritto nel loro cuore; e non era quel linguaggio complicato da comprendere, quello che usavano i dottori della Legge, linguaggio che era pieno di rigidità e allontanava la gente. Gesù, invece, con il suo linguaggio semplice faceva capire il mistero del Regno di Dio. E un esempio oggi lo troviamo nel Vangelo: la parabola del seminatore.
Il seminatore è Gesù. Notiamo che, con questa immagine, Egli si presenta come uno che non si impone, ma si propone; non ci attira conquistandoci, ma donandosi: butta il seme. Egli sparge con pazienza e generosità la sua Parola, che non è una gabbia o una trappola, ma un seme che può portare frutto. E come può portare frutto? Se noi lo accogliamo.
Perciò la parabola riguarda soprattutto noi: parla infatti del terreno più che del seminatore. Gesù effettua, per così dire, una “radiografia spirituale” del nostro cuore, che è il terreno sul quale cade il seme della Parola. Il nostro cuore, come un terreno, può essere buono e allora la Parola porta frutto – e tanto – ma può essere anche duro, impermeabile. Ciò avviene quando sentiamo la Parola, ma essa ci rimbalza addosso, proprio come su una strada: non entra.
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Ebbene, Gesù, in questa parabola, dice che il seme è caduto in quattro posti diversi: strada, terreno sassoso, rovi, terreno buono. Il seme caduto sulla strada sono coloro che ascoltano la Parola ma non l’accolgano. Il seme caduto sul terreno sassoso sono coloro che accolgono la Parola sul momento ma non hanno costanza e perdono tutto. Proviamo ad immaginare un terreno sassoso: è un terreno «dove non c’è molta terra», per cui il seme germoglia, ma non riesce a mettere radici profonde.
Così è il cuore superficiale, che accoglie il Signore, vuole pregare, amare e testimoniare, ma non persevera, si stanca e non “decolla” mai. È un cuore senza spessore, dove i sassi della pigrizia prevalgono sulla terra buona, dove l’amore è incostante e passeggero. Ma chi accoglie il Signore solo quando gli va, non porta frutto.
C’è poi il terreno spinoso, pieno di rovi che soffocano le piante buone. Che cosa rappresentano questi rovi? «La preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza», così dice Gesù. I rovi, dunque, sono gli idoli della ricchezza mondana, il vivere avidamente, per sé stessi, per l’avere e per il potere. Questi vizi soffocano la Parola di Dio. Se coltiviamo questi rovi, soffochiamo la crescita di Dio in noi. Ciascuno può riconoscere i suoi piccoli o grandi rovi, i vizi che abitano nel nostro cuore, quegli arbusti più o meno radicati che non piacciono a Dio e impediscono di avere il cuore pulito. Occorre strapparli via, altrimenti la Parola non porterà frutto, il seme non si svilupperà.
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Ed infine il seme cade sul terreno buono: il terremo buono sono coloro che ascoltano in modo recettivo la Parola e, in questo terreno, la Parola porta frutto in abbondanza.
Ma questo Vangelo insiste anche sul «metodo» della predicazione di Gesù, cioè, appunto, sull’uso delle parabole. «Perché a loro parli con parabole?» – domandavano i discepoli -. E Gesù risponde ponendo una distinzione tra loro e la folla: ai discepoli, cioè a coloro che si sono già decisi di accogliere la Parola, Egli può parlare del Regno di Dio apertamente, invece agli altri deve annunciarlo in parabole, per stimolare appunto la decisione, la conversione del cuore; le parabole, infatti, per loro natura richiedono uno sforzo di interpretazione, interpellano l’intelligenza ma anche la libertà. Spiega san Giovanni Crisostomo: «Gesù ha pronunciato queste parole con l’intento di attirare a sé i suoi ascoltatori e di sollecitarli assicurando che, se si rivolgeranno a Lui, Egli li guarirà» (Comm. al Vang. di Matt., 45,1-2).
Inoltre, questa disparità è riferita anche ai farisei e ai dottori della Legge, che in teoria dovrebbero già sapere tutto; quindi, non avrebbero bisogno di riascoltare i discorsi del Regno espressi in parabole. Tuttavia per loro vale l’antica profezia di Isaia: si tratta di coloro che hanno indurito il cuore, chiuso le orecchie e gli occhi per non ascoltare e vedere. Per loro non valgono né le antiche dottrine né le nuove parabole, perché non «vogliono» convertirsi alla buona Novella, che è la via dell’amore.
Il problema, quindi, non è nella Parola, quanto nel terreno che dovrebbe accoglierla, ossia il nostro cuore.
Ebbene, Gesù ci invita oggi a guardarci dentro: a ringraziare per il nostro terreno buono e a lavorare sui terreni non ancora buoni. Chiediamoci se il nostro cuore è aperto ad accogliere con fede il seme della Parola di Dio. Chiediamoci se i nostri sassi della pigrizia sono ancora numerosi e grandi; individuiamo e chiamiamo per nome i rovi dei vizi. Troviamo il coraggio di fare una bella bonifica del terreno, una bella bonifica del nostro cuore, portando al Signore nella Confessione e nella preghiera i nostri sassi e i nostri rovi. Così facendo, Gesù, buon seminatore, sarà felice di compiere un lavoro aggiuntivo: purificare il nostro cuore, togliendo i sassi e le spine che soffocano la Parola.
La Madre di Dio, che oggi ricordiamo col titolo di Beata Vergine del monte Carmelo, insuperabile nell’accogliere la Parola di Dio e nel metterla in pratica (cf Lc 8,21), ci aiuti a purificare il cuore e a custodirvi la presenza del Signore. Amen!
Don Lucio D’Abbraccio
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