don Lucio D’Abbraccio – Commento al Vangelo del 12 Giugno 2022

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Don Lucio D’Abbraccio

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Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo, a Dio, che è, che era e che viene!

Terminato il periodo pasquale, la liturgia ci invita a soffermarci in contemplazione e in preghiera di fronte al mistero della Trinità. Parlare di Dio è difficile perché non lo abbiamo mai incontrato! Una persona si conosce solo incontrandola e per noi su questa terra non sarà mai possibile conoscere Dio faccia a faccia. La nostra condizione sulla terra assomiglia a quella del bambino nel seno della madre: il bambino sente la mamma, ma non la conosce perché ancora non è venuto al mondo.

Così accade a noi: finché viviamo in questo mondo non vedremo mai Dio; lo vedremo faccia a faccia solo quando entreremo nella vita eterna. L’apostolo Giovanni, nella sua prima lettera scrive: «…che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (cf 1Gv 3, 2). Sant’Agostino, nella Lettera 92, scrive: «Vedremo quindi Dio nella misura in cui saremo simili a Lui, allo stesso modo che anche adesso lo vediamo tanto meno quanto più siamo dissimili da Lui. Ma chi sarà così stolto da dire che siamo e saremo simili a Dio per il corpo? La somiglianza con Lui risiede quindi nell’uomo interiore, il quale si rinnova ad immagine e somiglianza del suo creatore mediante la sua conoscenza di Dio (cf Col 3, 10). E tanto più simili a Lui diventiamo, quanto più progrediamo nella conoscenza e nell’amore di Lui, poiché anche se il nostro uomo esterno [cioè il corpo] si va disfacendo, quello interno [l’anima] si rinnova di giorno in giorno (cf 2Cor 4, 16). Qualunque sarà il nostro progresso in questa vita, esso è sempre assai lontano dalla perfezione della somiglianza necessaria per vedere Dio a faccia a faccia (cf 1Cor 3, 12), come dice l’Apostolo. Se in queste parole volessimo intendere la faccia del corpo, ne verrebbe la conseguenza che anche Dio avrebbe una faccia come l’abbiamo noi. In realtà noi sappiamo che Dio non ha corpo perché è purissimo spirito».

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Dunque, anche quando andremo nella Gerusalemme celeste, noi lo vedremo ma resterà sempre un mistero!

A tal proposito mi piace ricordare il racconto dell’incontro che avvenne tra Agostino e un bambino: «Un giorno Sant’Agostino passeggiava lungo la spiaggia meditando sul grande mistero della Trinità. Vede un bambino che, scavata un buca nella sabbia, vi versava l’acqua che attingeva con una conchiglia dal mare. – Che fai, bambino mio? Voglio mettere il mare in questa buca…- E’ impossibile… mettere il mare così vasto in una buca così piccola…- E allora… come puoi tu richiudere nella tua piccola testa… Dio così infinito?… E l’angelo sparì».

Non è possibile alla nostra corta e limitata intelligenza penetrare e scrutare il mistero. Ecco perché il santo vescovo afferma con forza che questo Dio che “E’ colui che è”, è essenzialmente “Trinità“. Dio in senso assoluto è sia il Padre, sia il Figlio sia lo Spirito Santo, essi sono inseparabili nell’Essere e operano inseparabilmente, non essendoci differenza né funzionale né gerarchica, essi sono perfettamente uguali. Tuttavia queste tre persone sono distinte da Agostino, non dal punto di vista della sostanza ma da quello relazionale: per cui il Padre ha il Figlio ma non è il Figlio, il Figlio a sua volta ha il Padre ma non è il Padre, entrambi hanno lo Spirito Santo ma non sono lo Spirito Santo e viceversa. Ciò significa che ciascuna delle tre persone è distinta dalle altre ma non ontologicamente diversa. Più che indagare, si accresca in noi la gioia di accogliere la Parola di Gesù che ci rivela il Dio, Uno e Trino, parlandoci ripetutamente della vita trinitaria che è amore: Il Padre manda nel mondo il suo Figlio Gesù per amore verso le sue creature, il Figlio offre se stesso in sacrificio di espiazione per amore dell’uomo peccatore, lo Spirito Santo, spirito di amore, diffonde nel cuore dell’uomo la tenerezza di figli adottivi del Padre.

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Nella prima lettura l’autore scrive che la creazione è affidata all’uomo, ma è uscita dalle mani e dal cuore di Dio. L’autore sacro immagina la sapienza – realtà misteriosa – come una giovane fanciulla che accompagna in ogni momento l’opera creatrice di Dio. Il Nuovo Testamento vedrà in questa personificazione della Sapienza – che era già generata prima che la terra fosse – un simbolo e un’anticipazione del Figlio di Dio, che si incarna e viene nel mondo. Ebbene, la creazione manifesta la gloria di Dio e l’uomo, contemplandola, si scopre piccolo, ma grande agli occhi del Signore, che lo ha reso, come recita il salmo responsoriale, signore e custode della sua opera meravigliosa. Però, dopo la rottura compiuta dall’uomo con il peccato Dio, scrive san Paolo nella lettera ai Romani, ha mandato a noi il suo Figlio e ha donato il suo Santo Spirito per salvarci. Possiamo vantarci di fronte a Dio, dunque, non delle nostre opere, ma dei suoi doni che ci salvano.

Ed infine nel vangelo, che è un breve frammento del lungo discorso che Gesù tenne ai suoi apostoli la sera del Giovedì santo, nel cenacolo, l’evangelista scrive che il Signore, che già tante volte aveva parlato loro del Padre, cercando di svelare il suo volto – ma era un discorso troppo difficile per gli apostoli -, anche adesso non glielo nasconde: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso». Ciò significa che gli apostoli non sono in grado di portare il peso della croce di Gesù, cosa che si vedrà chiaramente durante la Passione. Per questo, compito dello Spirito sarà quello di aiutare i discepoli a comprendere e ad accogliere interamente l’insegnamento e l’opera di Gesù. Solo dopo la Pentecoste, con la venuta dello Spirito, gli apostoli comprenderanno il significato di queste parole, infatti, il Signore nell’ultima cena glielo preannuncia: «Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

Noi viviamo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. Non sempre ci pensiamo, ma la nostra vita è immersa nel mistero della Trinità. Al fonte battesimale il ministro sacro, versando l’acqua sul nostro capo ha detto: «Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo»; quando ci vengono rimessi i peccati il sacerdote dice: «Io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». Anche quando gli sposi sono congiunti in matrimonio e i sacerdoti sono consacrati a Dio, si pronunciano le Tre Persone divine. Perfino sul letto di morte, il sacerdote pronunciando le parole della liturgia dice: «Parti anima cristiana da questo mondo: nel nome del Padre che ti ha creata, del Figlio che ti ha redenta, dello Spirito Santo che ti ha santificata». Inoltre, ogni volta che facciamo il segno di croce e recitiamo il gloria al Padre, noi menzioniamo il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

Dunque Dio è sempre presente in noi però, il più delle volte, come i due discepoli di Emmaus, non lo riconosciamo perché siamo distratti. Chiediamo al Signore che apra i nostri occhi e ci aiuti a intravedere il volto di Dio riflesso in noi stessi e nei nostri fratelli.

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