Don Lucio D’Abbraccio
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Non deludiamo e non amareggiamo il Signore
Per cinque domeniche verrà letto il capitolo 6 del Vangelo di Giovanni che ha per oggetto fondamentale il pane di vita.
Il capitolo inizia con il racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci. L’evangelista Giovanni non ci dà precise indicazioni di tempo su questa giornata straordinaria, se non che era vicina la Pasqua. Giovanni inoltre annota che è Gesù che prende l’iniziativa per questa folla che lo ha seguito a lungo, senza stancarsi, e che ora ha sicuramente fame.
A questo punto, scrive l’evangelista, Gesù rivolgendosi a Filippo dice: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Questa affermazione del Maestro era ovviamente una provocazione perché «egli infatti sapeva quello che stava per compiere». A questo punto Filippo risponde che «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». 200 denari equivalgono a 200 giornate di lavoro, una cifra che gli apostoli non potevano avere.
Però Andrea sembra intuire le intenzioni di Gesù e dice che c’è un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci. E sarà proprio la generosità di questo ragazzo che offrirà a Gesù la materia prima per il miracolo. Probabilmente molte altre persone avevano portato pane per il viaggio, ma non lo misero a disposizione: soltanto questo ragazzo fu disponibile alla condivisione.
A questo punto, annota l’evangelista, Gesù fa sedere sull’erba la gente. I sinottici aggiungono che si compongono per la distribuzione gruppi di cinquanta e di cento.
Gesù appare come il nuovo Mosè. Anche Mosè aveva diviso gli Ebrei in gruppi, e aveva dato da mangiare quaglie e manna a volontà . Ora Gesù dona a tutti pane e pesci.
E Gesù, scrive Giovanni, «dopo aver reso grazie» – parole che costituiscono un chiaro rimando al gesto eucaristico – , prese i pani e i pesci e «li diede a quelli che erano seduti, quanto ne volevano». Ma c’è di più: con i pezzi avanzati si «riempirono dodici canestri». Il numero 12 è simbolico: esso indica il numero delle tribù d’Israele e dei 12 apostoli.
L’abbondanza dei pani e dei pesci è simile a quella descritta nella prima Lettura, dove si dice che grazie al gesto generoso di un anonimo, «venti pani d’orzo e grano novello», basteranno per «cento persone».
I «circa cinquemila uomini» restano impressionati dal miracolo, e subito affermano a proposito di Gesù: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Sì, il profeta promesso da Dio, il profeta «uguale a Mosè» (cf Dt 18,15-18) è ormai presente in mezzo al suo popolo: occorre pertanto incoronarlo re, occorre riconoscergli il potere politico, poiché egli è capace di soddisfare le attese della gente… Ebbene, quando Gesù comprende che il gesto da lui compiuto non aveva suscitato la fede nella sua persona, ma, al contrario, era servito solo a fomentare attese mondane, subito «si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo».
Egli è consapevole che questa sua reazione deluderà le attese di molti ma Gesù non era venuto nel mondo per diventare un re tra i re di questa terra (cf Gv 18.35-38), non era venuto per conquistare un potere e godere di riconoscimenti mondani. Egli non ha moltiplicato il pane per compiere un miracolo, un atto strabiliante in grado di impressionare le folle, ma lo ha fatto per dare loro un «segno» (cf Gv 6,26). Giovanni, infatti, per indicare i miracoli di Gesù usa la parola greca «seméion», che vuol dire «segno». Il miracolo, infatti, nel pensiero di Dio, non è uno spettacolo, non è una esibizione di onnipotenza. Il miracolo è un segno, un segnale di Dio, un messaggio di Dio: per questo se non c’è fede vera, Dio non compie il miracolo, perché manca la disponibilità ad accogliere il suo messaggio. Se non c’è fede, è impossibile capire il miracolo: come è impossibile leggere con gli occhi chiusi. Fare un miracolo dove non c’è fede, è come mettere un libro in mano a un cieco.
Gesù, dunque, con i suoi miracoli, non voleva impressionare nessuno né tantomeno voleva accaparrarsi la simpatia della gente. Quante volte invece uomini di chiesa o semplici cristiani paiono intenti unicamente a organizzare il consenso, a cercare di impressionare l’uditorio e, nello stesso tempo, a riporre la loro fiducia nelle folle suggestionabili! No, Gesù ci ha insegnato che non può esistere una regalità umana né per la chiesa né per i cristiani: i cristiani regnano solo quando amano il prossimo e servono i fratelli (cf Gv 13,1). Occorre, allora, non arrestare lo sguardo sui pani moltiplicati, ma dirigerlo verso colui che ha compiuto tale gesto, Gesù, perché egli è «il pane della vita» (cf Gv 6,51).
Gesù è rimasto amareggiato e deluso dalla folla: cerchiamo di non deludere e non amareggiare mai Cristo Signore, nostra unica salvezza, comportandoci da cristiani autentici e credibili. Amen.