La tentazione di mormorare
La folla che ascolta Gesù nella sinagoga di Cafarnao non riesce ad andare oltre i pregiudizi della conoscenza carnale della famiglia del Maestro. Le sue parole ispirate e rivelative suscitano interrogativi e sospetti, che sfociano nella mormorazione. Anche il popolo di Israele nel deserto, a causa dell’incredulità al piano liberatore e salvifico di Dio, operato per mezzo di Mosè, era precipitato nello stesso atteggiamento. Non si tratta semplicemente del chiacchiericcio e del pettegolezzo, già di per se stessi molto distruttivi e pericolosi per la vita della comunità, quanto di una più grave e nefasta chiusura del cuore, che non riconosce la novità e l’operare di Dio nella storia e nelle esistenze umane.
Il pregiudizio si trasforma in una vera e propria schiavitù che blocca l’agire di Dio nella freddezza e nell’appiattimento sui propri modi di vedere. Questa chiusura porta ad un atteggiamento di negatività e pessimismo che, oggi come allora, fa tanto male alla Chiesa e alle comunità cristiane.
Nel discorso di apertura del Concilio Vaticano II, San Giovanni XXIII, riportando l’esistenza di atteggiamenti simili prima dell’assise conciliare dell’epoca, si esprimeva in questi termini: “Spesso infatti avviene, come abbiamo sperimentato nell’adempiere il quotidiano ministero apostolico, che, non senza offesa per le Nostre orecchie, ci vengano riferite le voci di alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano però i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio. Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa. A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo” (Discorso di apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, 11 ottobre 1962, nn. 2-3).
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Nel brano del Vangelo, Gesù stesso cerca di dissipare queste tenebre della mormorazione ricordando che nel cuore di ogni uomo esiste un moto di attrazione operato dal Padre, il cui disegno sapiente è alla base della venuta del Figlio nel mondo. La chiave per entrare nell’accettazione di questa verità ed intraprendere un percorso di graduale comprensione di essa è dato dal credere. Solo la fede apre l’accesso alla vita eterna.
Questa espressione, nel contesto di San Giovanni, non si riferisce solo al concetto della vita oltre la morte, quanto a quello della “vita divina” in noi, la relazione con Cristo vivente, che per mezzo dello Spirito in noi è già anticipo di eternità. Facendosi lui stesso cibo per l’anima, attraverso la sua Parola, la sua sapienza che discende dal cielo e poi ancora, come spiegherà più avanti attraverso il suo Corpo dato e il suo Sangue versato nell’Eucaristia, Gesù è la porta di questa vita divina.
Chi riconosce la gioia di questo incontro, l’accoglie e la vive, non può rimanere schiavo della tristezza e del pessimismo, mai!