“Non omnis moriar” [Non morirò interamente] (Odi, III, 30, 6), scriveva il poeta latino Orazio, riferendosi probabilmente all’immortalità concessagli dalla sua opera poetica.
Queste sue parole, tuttavia, ben si adattano ad aprire il commento al Vangelo di questa domenica, collocata verso la fine dell’anno liturgico. Questo gruppo di Sadducei, discendenti del sacerdote Sadoq, rappresentanti di una delle tante anime del giudaismo del tempo di Gesù, si avvicina a Lui portando uno degli argomenti peculiari del loro insegnamento, che li distingueva dall’altra corrente, quella dei Farisei.
La posizione dei sadducei, infatti, liberale e materialista, negava totalmente la risurrezione dei morti. Citando un esempio di applicazione della ben nota legge del levirato, che imponeva legalmente al cognato (ebraico levir) di sposare la vedova del fratello defunto senza eredi per assicurargli una discendenza, essi vorrebbero persuadere Gesù circa l’assurdità degli argomenti pro resurrezione.
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Essi avevano in comune con tanti uomini del nostro tempo un approccio orizzontale sulla realtà: negavano, infatti, qualsiasi trascendenza dell’essere umano. La sua vita, che viene dalla polvere e ad essa deve ritornare, è limitata all’esperienza terrena, senza alcuna apertura ad una dimensione eterna e ulteriore. Il loro sguardo, in altre parole, è puramente materialistico e appiattito sulla Terra.
Nulla può attendersi un uomo al di là della sua buona riuscita terrena, nella quale deve impegnarsi ad accumulare e difendere il proprio patrimonio, per poter garantire prosperità e sicurezza ai propri discendenti. Il Maestro, come al suo solito, senza entrare in dibattiti di scuola, punta dritto al cuore della questione. Alla luce della Scrittura, Egli invita a sollevare lo sguardo verso l’alto, in una dimensione verticale.
La risurrezione, infatti, non è una semplice addizione o moltiplicazione della vita terrena, ma una realtà nuova e differente, garantita dalla relazione con il Dio Vivente. Nessuna delle categorie terrene, come ad esempio quella dei legami affettivi e familiari, come tra moglie e marito, si può applicare agli esseri umani che hanno già attraversato la soglia della morte e sono considerati degni della vita eterna. Si tratta di una dimensione differente e nuova, trasfigurata dallo Spirito.
Ci vengono in aiuto le parole dell’Apostolo Paolo, che nell’importantissimo capitolo 15 della Lettera ai Corinzi, così si esprime: “Ogni stella infatti differisce da un’altra nello splendore. Così anche la risurrezione dei morti: è seminato nella corruzione, risorge nell’incorruttibilità; è seminato nella miseria, risorge nella gloria; è seminato nella debolezza, risorge nella potenza; è seminato corpo animale, risorge corpo spirituale” (1Cor 15, 41-44). Questa trasformazione è frutto della grazia di Dio, non dipende da alcuna volontà umana. Il Dio che è Amore non può abbandonare la sua creatura, che reca in sé la sua immagine e somiglianza, alla corruzione o al dominio del nulla.
Egli non è il Dio dei morti, ma dei viventi ed è solo Lui la ragione della Risurrezione. Questa dimensione ulteriore, di eternità, che in teologia si chiama “escatologica”, è ciò per cui vale la pena scommettere sull’amore di Dio. Se non ci fosse questa promessa, resa evidente nel mistero pasquale del Figlio a cui tutti siamo chiamati a partecipare, a che servirebbero tutte le rinunce, le privazioni, le offerte quotidiane fatte con amore e per amore di Dio?
In un mondo e una cultura pragmatici e scientistici, che ci portano a rimanere appiattiti sull’immanenza, il messaggio evangelico di questa domenica è un invito ad elevare lo sguardo del cuore verso la vera patria, che Dio prepara per ciascuno di noi in Cristo Gesù, quella che chiamiamo la vita eterna, la risurrezione della carne.
In conclusione, ci aiutano ancora una volta le parole di Paolo: “Ora, se si annuncia che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non vi è risurrezione dei morti? Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto! Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede” (1Cor 15, 12-14).