Don Luciano Labanca – Commento al Vangelo del 6 Marzo 2022

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Mai soli nella lotta

Il brano evangelico previsto dalla Chiesa per la prima domenica di Quaresima è sempre la narrazione delle tentazioni di Gesù. Quest’anno siamo invitati a meditare sulla versione dell’evangelista Luca, che vi pone il suo tocco particolare, già evidente in apertura della narrazione, con una singolare insistenza sul ruolo dello Spirito Santo.

Gesù ha appena ricevuto il battesimo di Giovanni al Giordano ed ha vissuto la sua teofania trinitaria, in cui lo Spirito si è manifestato in forma di colomba su di Lui, dando inizio al suo ministero pubblico. Tale Spirito muove il Signore, facendolo allontanare dal Giordano, per dirigersi verso il deserto, il luogo del silenzio, dell’ascolto e della tentazione. Leggendo attentamente il testo greco, si vede come ciò che lo Spirito compie non è un fatto puntuale, ma, per la sfumatura del verbo all’imperfetto, si coglie come la sua azione si estenda per tutti i 40 giorni della sua permanenza nel deserto. In altre parole, Gesù, durante il suo essere nel deserto, era costantemente guidato dallo Spirito Santo e nello stesso tempo era sotto l’influsso della tentazione diabolica.

Questa verità ci riempie di consolazione, perché è vera anche per noi. Riprendendo la celebre espressione di Sant’Agostino, secondo la quale “Cristo fu tentato dal diavolo, ma in Cristo eri tentato anche tu” (Commento al salmo 60,2-3), possiamo benissimo metterci nei panni del Signore e sapere che anche noi, quando sperimentiamo la tentazione, rimaniamo costantemente sotto l’azione illuminante dello Spirito. Il cuore dell’uomo, infatti, è sempre un campo di battaglia in cui lo Spirito di Dio lotta contro lo spirito del male, ma nella lotta non siamo mai soli. Avendo Cristo assunto pienamente l’umanità, si è sottoposto anche alla prova della tentazione, ma ne è uscito vincitore, schiacciando il maligno con la santità della sua divinità e aprendo anche per noi la strada della vittoria.

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Ma che cos’è la tentazione? Essa è la tendenza verso un oggetto buono, gradito, desiderabile, ma che invece di servire al nostro bene, porta alla distruzione. Essa si colloca sulle nostre inclinazioni più deboli, quelle che la tradizione della Chiesa, riprendendo l’insegnamento della Prima lettera di San Giovanni, chiama concupiscenza (cfr. 1Gv 2,15). Essa è l’effetto e la traccia del peccato originale in noi e tende costantemente ad allontanarci da Dio, sostituendolo con altre cose. Dopo 40 giorni di digiuno, Gesù – nella sua vera umanità – sperimenta la fame.

Il maligno approfitta di questo bisogno ed inclinazione, per estremizzarlo: non puoi vivere senza mangiare, non puoi vivere senza assecondare i tuoi bisogni fisici, devi necessariamente soddisfarli, perché vengono prima di Dio. Nei quarant’anni nel deserto Israele ha sperimentato la fame e Dio l’ha nutrito con la manna, perché potesse capire che solo Lui può soddisfare veramente la fame dell’uomo, nutrendolo della sua Parola.  Gesù risponde a questa tentazione, citando proprio il passo del libro del Deuteronomio che narra questo episodio.

Non spuntandola sul piano della materialità (concupiscenza della carne), la tentazione si fa più sottile: si passa ad un’altra inclinazione, quella del potere, la superbia della vita. Se scegli me, al posto di Dio – gli suggerisce satana – ti faccio diventare qualcuno, sarai temuto, potrai dominare e opprimere. Gesù, ancora una volta, attingendo alla Parola, ribadisce il primato di Dio contro ogni idolatria: solo a Lui spetta l’adorazione e il culto, non ad altro. Sconfitto anche sul terreno scivoloso del potere, il maligno incalza con la concupiscenza degli occhi: tutti amano la spettacolarità, il farsi notare, lo stare al centro della scena.

Questa è la più “religiosa” delle tentazioni, perché porta ad illudersi del fatto che, avendo Dio, possiamo manipolarlo come crediamo. Anche di fronte a questa tentazione, Gesù combatte con l’arma della Parola: la vera fede non può mai permettere che Dio venga messo alla prova, manipolato e strumentalizzato. Gli Israeliti lo avevano fatto alle acque di Meriba, quando non fidandosi di lui, si erano chiesti: “il Signore è in mezzo a noi, si o no?” (Es 17,7).

Non possiamo mai servirci di Dio, ma siamo invece chiamati a servirlo, sempre, fidandoci e affidandoci. Illuminati dall’esperienza di Gesù nel deserto, il tempo di Quaresima è per noi una vera palestra spirituale per misurarci su queste dinamiche. Con la grazia dello Spirito, illuminati dalla sua presenza e dalla Parola, anche noi in Cristo, possiamo vincere la prova, giungendo al monte santo della piena comunione con lui.

È certamente un percorso in salita, ma il messaggio di questa domenica è chiaro: non siamo soli nella scalata!


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