Don Luciano Labanca – Commento al Vangelo del 5 Settembre 2021

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L’opera della nuova creazione

L’episodio narrato dal brano evangelico di questa domenica si svolge in terra pagana. Gesù si incammina nella parte orientale del lago di Galilea, nella regione della Decàpoli. Non si tratta di un particolare secondario: il ministero di Gesù, certamente orientato primariamente alle “pecore perdute della casa di Israele” (Mt 10,5), mantiene sempre questa apertura universale, verso ogni uomo. La Chiesa proseguendo il ministero di Cristo, già con San Paolo, avrà chiara consapevolezza di questo: “Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28).

In tale contesto, un sordomuto, incapace di parlare e di sentire, viene portato a Gesù. Non si dice nulla della fede personale di quest’uomo, ma soltanto che altri lo portarono a Gesù. Ciascuno di noi è interpellato da questa dinamica: quando ci imbattiamo in situazioni in cui i nostri fratelli vivono difficoltà, sofferenza, malattia, li portiamo a Gesù attraverso la nostra preghiera? Crediamo veramente che Egli può agire e guarire? C’è una certezza: Cristo può guarire sempre! La sua opera, tuttavia, rimane nascosta agli occhi dei più. Egli vuole operare in disparte, nel silenzio e nel nascondimento dell’incontro personale.

Le azioni di Gesù vengono descritte in modo dettagliato e ci portano anche a delle domande: perchè ha bisogno di agire in un modo così materiale? Non sarebbe bastata una sua parola a guarire quest’uomo? La risposta è certamente sì, ma evidentemente Egli vuole comunicare qualocos’altro di più profondo. Il contatto fisico di Gesù con l’uomo disabile è un chiaro segno della logica dell’incarnazione. Dio non ha voluto salvare l’umanità in maniera ideale e spiritualistica, ma ha deciso di farsi uomo, assumendo su di sè in pienezza questa natura fragile e “terrosa”. Nell’antichità si riteneva che la saliva avesse un potere curativo.

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Gesù, pienamente inserito nel suo contesto, nella cultura e nelle concezioni dell’epoca, segue esattamente quella linea. Egli utilizza un rimedio dell’epoca e la sua stessa fisicità per comunicare il dono della grazia. Non è tuttavia ancora questo il gesto decisivo per la guarigione: essa avviene quando Gesù eleva lo sguardo verso il Padre, emette lo Spirito e pronuncia la parola aramaica “Effatà”, che significa “Apriti”, presentataci dall’evangelista Marco quasi come una reliquia verbale di Gesù. La dimensione della gestualità materiale diviene veicolo della grazia con la potenza dello Spirito che viene dal Padre e con la forza della Parola.

È proprio così che si realizza la nuova creazione dell’uomo. Nell’Antico Testamento Dio creava plasmando la polvere della terra e mediante la forza della sua Parola. Così nel tempo della pienezza Cristo continua ad operare la nuova creazione attraverso il contatto con la sua Persona, la potenza dello Spirito e la forza della Parola. Quanto operato nei confronti del sordomuto, che torna a poter sentire e comunicare, accade sempre di nuovo anche per noi mediante la grazia dei sacramenti. Cristo continua a guarire e ricreare l’umanità sottraendola al potere del male e conducendola sotto l’ala protettiva del Padre. Non è un caso, infatti, che nella sua sapienza la Chiesa abbia inserito nel rito del battesimo un riferimento a tale episodio evangelico.

Tra i riti esplicativi, dopo l’infusione dell’acqua sul capo, il ministro tocca gli orecchi e la bocca del noebattezzato e rinnova liturgicamente questo rito dell’Effatà, per invocare che presto egli possa ascoltare la Parola e professare la fede con la propria bocca. Le parole dei presenti dopo il segno di Gesù, presentate in conclusione del brano evangelico ascoltato, sono una chiara eco alle prime pagine della Genesi. Al termine della creazione di ogni singolo elemento, l’autore sacro ripete: “E Dio vide che era cosa molto buona”, specificando che la creazione dell’uomo e della donna, è addirittura “cosa molto buona” (Gen 1,31).

Se l’opera della creazione era tale, quanto più deve esserlo quella della nuova creazione a cui ciascuno di noi è destinato nella grazia di Cristo. La liturgia ce lo ricorda: “O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti, fa che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio, che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana” (Colletta di Natale).


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