Don Luciano Labanca – Commento al Vangelo del 5 Novembre 2023

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I destinatari del discorso di Gesù nel brano di questa domenica sono la folla e i suoi discepoli, in altre parole siamo tutti noi. Il Maestro prende le mosse da un’affermazione di fatto: gli scribi e i farisei hanno preso in carico l’insegnamento in mezzo al popolo di Israele, come successori di Mosè.

Come porsi di fronte a loro? Credere in quello che dicono, ascoltare e osservare, ma fare attenzione a non seguirne le orme. San Paolo VI scriveva: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni” (Evangelii nuntiandi, 41).

Sì, gli scribi e i farisei erano ottimi maestri a parole, ma non testimoni. C’era in loro una profonda spaccatura fra quanto insegnavano e quanto vivevano. Quelle parole di Gesù pesano quanto macigni: “dicono e non fanno”. La spaccatura dell’incoerenza è una malattia trasversale, che purtroppo si è riversata anche tra le schiere dei discepoli di Cristo, perché deriva dalla debolezza umana di chi cerca l’apparenza, di chi vuole salire sul piedistallo del protagonismo e nella sua vanagloria ama più il proprio successo che il Signore.

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Quando questa malattia spirituale si riscontra in chi ha un ruolo di responsabilità all’interno della comunità, genera terribili conseguenze, causando scandalo specialmente per la fede dei piccoli. La raccomandazione iniziale di Gesù, tuttavia, deve essere sempre tenuta in altissima considerazione: la verità stessa non può mai venir oscurata dalla cattiva testimonianza di chi la presenta.

Certamente chi ha il compito di annunciarla dovrà rispondere del modo in cui vi ha anche personalmente aderito, ma nulla può scalfire il valore e l’efficacia del messaggio in sé stesso. È come un diamante che cade nello sterco: la bellezza della pietra preziosa non potrà mai essere scalfita da quell’infimo putridume. Troppo spesso però, l’incoerenza dei maestri, senza nulla togliere alla loro responsabilità di dover dar conto delle loro inconsistenze a Dio e agli uomini, diventa un alibi per chi non vuole neppure ascoltare la verità.

Non ci sono scuse allora, per quelli che dicono: ‘come posso essere cristiano, se i cristiani danno cattiva testimonianza?’, oppure ‘cosa vado a fare in chiesa, se le persone di chiesa sono peggiori di me?’. La Parola di oggi è estremamente chiara sul punto: non ci sono scuse per non ascoltare quanto ci viene annunziato o per sottrarci allo splendore della verità.

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Tuttavia, per chi ha una responsabilità educativa nella Chiesa, ma come anche nella famiglia e nella società, l’esortazione di Gesù è quella di impegnarsi ad essere seriamente profetici, parlando con la vita prima che con le parole.

Il segreto per mantenersi in questo giusto atteggiamento spirituale è dato dall’esortazione finale: non c’è coerenza né efficacia della propria testimonianza senza umiltà, la virtù di chi pur sapendo di essere fragile, inconsistente e peccatore, si mette al servizio degli altri, non con la pretesa di essere migliore, ma con il desiderio di migliorarsi ed aiutare i fratelli a fare altrettanto.

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