Don Luciano Labanca – Commento al Vangelo del 5 Febbraio 2023

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Proseguendo il suo insegnamento sul monte, nella pagina evangelica che la liturgia ci propone per questa domenica, Gesù ci consegna due immagini molto semplici e concrete, ma allo stesso tempo altamente cariche di significato, per presentare l’identità del discepolo: il sale e la luce. Partendo dalla prima, siamo invitati a riflettere sul significato del sale. Esso è un elemento naturale, che serve a dar sapore ai cibi e a conservarli. Il sale è anche utile alla terra per concimarla.

Si caratterizza per un sapore forte, deciso, fermo. Perché allora Gesù usa questo paragone per definire l’identità dei suoi discepoli? Quando pensiamo al Maestro, al suo insegnamento e al suo ministero, siamo spesso mossi dal contemplarne la dolcezza, la bontà, l’amorevolezza. Lui stesso, però, nella Scrittura ci ha detto chiaramente: “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada” (Mt 10,34). Il suo passaggio infatti non è stato e non è mai irrilevante e melenso, al contrario è forte e deciso, richiede una seria presa di posizione e il cambiamento serio. Anche noi, come discepoli, siamo chiamati ad essere forti e decisi, proprio come il sapore del sale.

La cultura di massa oggi ci induce a vivere in modo un po’ insipiente, soprattutto quando ci rifugiamo nelle nostre comodità e nel nostro individualismo, senza lasciarci toccare da quanto ci sta attorno. Seguire Cristo ed essere suoi discepoli, invece, ci provoca sempre di nuovo ad essere fecondi, a concimare la realtà dove viviamo, a dare sapore a quanto ci circonda, uscendo dai noi stessi e non soccombendo alle tenebre dell’insipienza insignificante. La seconda immagine, poi, quella della luce, viaggia di pari passo con la prima. L’insipienza è come le tenebre, in cui non si distingue nulla, tutto sembra immobile e stagnante.

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La luce di Cristo, invece, svela le forme e i colori, trasfigura le linee e permette di cogliere il dinamismo della vita. I discepoli, che vivono di Lui, ricevono in sé stessi questa luce soprannaturale e divenendone partecipi attraverso la grazia, sono chiamati ad espanderla attorno a sé nella trasparenza della vita. Spesso, però, la nostra vita rimane nell’opacità del peccato e dell’incoerenza e non permette alla luce di espandersi e raggiungere gli altri. La trasparenza che permette alla luce di riverberarsi e di non rimanere intrappolata è rappresentata dalle opere buone che il discepolo realizza, come frutti maturi di carità.

La bellezza di questi frutti non è mai fine a sé stessa, ma come ci dice chiaramente Gesù, è finalizzata alla gloria di Dio. Oggi, interrogandoci seriamente sul senso della nostra presenza in questo mondo, siamo invitati a domandarci: la mia testimonianza cristiana è davvero significativa, feconda e incisiva, come il sapore del sale? La mia vita è trasparenza della luce di Cristo, oppure la mia opacità ne blocca gli effetti. Infine, attraverso le opere buone che fioriscono nella mia vita – sempre come effetti della grazia!-, aiuto gli altri a rendere gloria al Padre che è nei cieli, oppure desidero che i riflettori siano continuamente puntati su me stesso? Solo pochi versetti più avanti, nel capitolo 6 di San Matteo, Gesù ci ricorda: “State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli.  Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa” (Mt 6, 1-2).

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