Don Luciano Labanca – Commento al Vangelo del 31 Ottobre 2021

561

Un silenzio che interroga

Non era infrequente che in Israele i rabbini venissero messi alla prova circa le loro posizioni sulla Legge di Mosè. Spesso questo avveniva per rivalità puramente intellettuali, a seconda delle diverse scuole a cui i rabbini appartenevano. Anche Gesù viene inserito in questo genere di dispute e il dialogo con lo scriba, riportatoci nel brano di questa domenica, gli permette di donare un insegnamento profondo e fondamentale per i discepoli di ogni tempo. Gesù viene interpellato circa il primo di tutti i comandamenti, ossia il più importante da osservare. La sua risposta parte dal testo noto a tutti gli Israeliti, tratto dal Deuteronomio (6, 4-9), il cosiddetto “Shemá” (dalla prima parola ebraica del testo, che significa appunto ascolta).

Nel primo comandamento individuato da Gesù, si può cogliere un primato nel primato: a vertice di tutto sta l’ascolto. Non c’è qualcosa da fare o da dire, ma da ricevere e accogliere in profondità: una parola donata liberamente da Dio, che deve penetrare il nostro cuore. Quante cose sentiamo e vediamo nella nostra vita quotidiana, così assuefatta alle parole e ai rumori. Ma, di fronte a questa abbondanza di parole, abbiamo ancora la capacità di ascoltare? Per poter ascoltare bisogna coltivare l’arte del silenzio esteriore ed interiore, sempre più assente nella frenesia della nostra epoca, fatta di tanto rumore e del continuo bombardamento di parole e immagini spesso vane ed effimere. Solo nel silenzio, invece, potremo lasciare a Dio la possibilità di comunicarsi a noi e di rivelarci se stesso.

Scrive il Card. Robert Sarah: “se il nostro silenzio è davvero di qualità, possiamo intravedere il silenzio del cielo” (R. Sarah, La forza del silenzio, 2017). Ascoltando nel silenzio, scopriremo che Dio è l’unico Signore e che non possiamo avere altre signorie nella nostra vita. Non ci può essere spazio per idoli che tolgano il primato a Dio, di qualsiasi natura siano e a qualsiasi livello della nostra vita si annidino. Egli è uno e unico. La sua unità e unicità è contagiosa, perché più lo frequentiamo, più la nostra vita si centra ed unifica in Lui. Questa unificazione passa attraverso la maturazione dell’amore in tutti gli ambiti della nostra umanità: il cuore, ossia la parte affettiva, l’anima, ossia la parte spirituale, la mente, ossia la parte intellettuale e razionale, le forze, ossia tutto il nostro agire.

- Pubblicità -

Dio ci permette di unificare e integrare tutte queste dimensioni esistenziali, crescendo in modo sano e armonico. Quando siamo ben centrati in Lui amandolo in maniera totalizzante a tutti i livelli, non c’è spazio in noi per la confusione e la dispersione. Quanta angoscia, disordine e debolezza porta il nostro non amare Dio in pienezza! Quanto sono evidenti gli effetti dell’assenza di Dio nella vita delle persone. Senza di Lui l’uomo è capace di fare i più grandi disastri. Dopo aver posto le basi per questo primato, Gesù con il realismo che sempre lo caratterizza ci fa riflettere sull’altra faccia della medaglia: la dimensione orizzontale dell’amore, quello verso il prossimo, ossia verso chi ci sta accanto, non verso chi abbiamo scelto e costruito in base ai nostri criteri, ma quello che si trova al mio fianco qui ed ora.

Gesù ci mette in guardia da ogni idealizzazione: il prossimo non si sceglie, nè si costruisce, ma è quello che in modo misterioso, per i piani imperscrutabili della Provvidenza, è accanto a noi! Bello o brutto, magro o robusto, buono o cattivo, simpatico o antipatico, con i suoi pregi e i suoi difetti, siamo chiamati ad amarlo così come è! Quanto è difficile a volte! Forse, per certi versi, è più facile amare Dio che non vediamo, piuttosto che la persona che ci sta accanto. Eppure, queste Parola non si presta a troppe interpretazioni: Gesù ci chiede di amare chi ci sta accanto, proprio come amiamo noi stessi.

Significa volere sempre il bene dell’altro, proprio come vogliamo il nostro proprio bene! Quanto siamo ridicoli a volte come cristiani, quando ci “battiamo il petto” in Chiesa, siamo sempre i primi nella fila della comunione (spesso senza confessarci da mesi o anni!), abbiamo sempre il nome di Dio sulla bocca e poi disprezziamo il prossimo, non salutiamo il nostro vicino di casa, non rivolgiamo la parola al nostro collega, proviamo rancore o risentimento verso questo fratello o quella sorella, a volte anche nella nostra stessa famiglia! Di fronte ad un messaggio così chiaro e forte, un evidente invito alla conversione per tutti, anche noi rimaniamo come i presenti al dialogo tra Gesù e lo scriba, senza parole! Non sarebbe forse il caso di ripartire da questo silenzio per prendere sul serio la nostra vita cristiana?


Fonte