Il giudizio di salvezza
Questo brano del Vangelo così denso e popolare, che viene tradizionalmente collocato nell’ottavo capitolo del Vangelo di Giovanni, ha fatto discutere molto sulla sua paternità giovannea sin dai primi secoli della Chiesa. Nonostante non sia messa in discussione la sua canonicità e autenticità storica, gli studiosi vi hanno colto chiari segni di uno stile, un lessico e uno sviluppo narrativo diverso dalla teologia di Giovanni, ma più prossima a quella di Luca, l’Evangelista della Misericordia.
Gesù, in apertura della narrazione, viene descritto nel Tempio di Gerusalemme, cuore della geografia religiosa di Israele. Dalla sua persona scaturisce un fascino speciale, unico, tanto che tutto il popolo è attratto da Lui. Non alcune categorie particolari, ma tutti: possiamo immaginare tra questa folla sterminata piccoli e grandi, buoni e cattivi, gente sincera e anche gente animata da sentimenti ostili. Egli non si tira indietro, ma dona loro la cosa più importante, ossia la sua Parola di verità, attraverso la quale li ammaestra, volendoli liberare dall’ignoranza e dal peccato.
Non dobbiamo mai dimenticarlo: l’opera salvifica di Gesù è sempre una vera liberazione dalle tenebre dell’ignoranza, del male e del peccato. Questo donarsi senza riserve a servizio della verità e della salvezza, espone il Maestro anche agli attacchi subdoli di coloro che vogliono coglierlo in fallo. Egli, tuttavia, sa condurre al bene anche queste cattive intenzioni umane, sfruttandole come occasioni per annunciare l’amore. Come in diverse pagine del Vangelo, anche qui scribi e farisei benpensanti vogliono cogliere in fallo Gesù, strumentalizzando la condizione di una povera donna peccatrice, sorpresa in flagrante adulterio. Secondo la legge del Levitico (Lv 20,10) e del Deuteronomio (Dt 22,22-24), si trattava certamente di uno dei peccati più gravi nella comunità di Israele, da punire addirittura con la morte della colpevole e del suo complice, “per estirpare il male” alla radice.
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Il Maestro non risponde subito con le parole, ma con un gesto carico di significato: chinatosi, scrive con il suo dito a terra. Tra le varie letture che sono state proposte per questo gesto misterioso e profetico di Gesù, sembra potervisi cogliere un riferimento all’antico dono della Legge fatto da Dio a Mose, che aveva scritto con il suo dito le sue parole sul monte Sinai (cf. Dt 9,10). Scrivendo a terra con il suo dito divino, il Figlio di Dio, il nuovo Mosè, conferma che non è venuto ad abolire la Legge, ma a darle pieno compimento (cf. Mt 5,17). Egli, con l’autorità divina che possiede, scrive la nuova legge, quella dell’amore.
I suoi interlocutori desideravano una risposta che ponesse Gesù in contrasto con quanto previsto dalla Legge di Mosè, se avesse detto che la donna non doveva essere punita per quanto aveva commesso, oppure se ne avesse deciso la morte, il contrasto sarebbe stato con quanto stabilito dalla legge romana, per cui era vietato mettere a morte chiunque al di fuori dell’autorità della lex romana. Il Maestro, però, spiazza tutti: il male va certamente punito ed estirpato, ma chi, fra gli uomini, può arrogarsi tale prerogativa?
Quante volte anche noi, in preda alle nostre manie di protagonismo abbiamo la presunzione di poter mettere apposto le cose, senza Dio, o addirittura al di sopra di Lui! La gravità del peccato della donna è un fatto che Gesù non mette in discussione. Sull’altro piatto della bilancia, però, sta anche il peccato delle persone che – piene delle loro pseudo-certezze religiose – si arrogano il diritto di condannare la donna. La parola di Gesù tocca i presenti, che non possono far altro che uscire di scena in silenzio.
E’ cosi, dunque, che Cristo viene lasciato solo: è Lui l’unico a poter giudicare la donna, perché è Dio! Il suo giudizio, però, non è di condanna e di morte, ma di salvezza! Nello scambio personale con la donna, immagine di quel dialogo profondo che Cristo realizza amorevolmente con ciascuno di noi, specialmente nel momento in cui sperimentiamo la nostra fragilità e la nostra miseria, Gesù chiama il peccato per nome, ma offre anche l’opportunità di tornare a vita nuova, di voltare pagina per sempre e di cominciare sempre di nuovo!