Don Luciano Labanca – Commento al Vangelo del 29 Ottobre 2023

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In linea con l’insegnamento del brano di domenica scorsa, anche oggi Gesù si ritrova a dover rispondere ad un’altra domanda provocatoria da parte di un dottore della legge. I farisei vogliono attirare Gesù nel vivo dibattito circa la precettistica giudaica, in cui le scuole rabbiniche versavano fiumi di inchiostro e spendevano miriadi di parole nel cercare di mettere ordine tra le centinaia di precetti che centellinavano dalle pagine della Torah.

Il Maestro, senza lasciarsi imbrigliare in discussioni di scuola, raggiunge il cuore delle cose e attingendo dalla Scrittura, cita due passaggi fondamentali dell’Antico Testamento: lo shemà Ysrael (Dt 6,4-5) e il passaggio sull’amore al prossimo (Lv 19,18). Queste due direzioni dell’amore, quello verso Dio e quello verso il prossimo, sono i pilastri su cui si costruisce tutta l’architettura della Scrittura (Legge e Profeti). San Giovanni della Croce scriveva che “l’amore non si paga che con se stesso”.

Di fronte alla rivelazione più importante della Bibbia, circa l’identità di Dio che è puro amore (cfr. 1Gv 4,14), dunque, la risposta umana a tale rivelazione e scoperta è quella di corrispondere a tale amore con il medesimo amore. Questo moto che dall’uomo va verso Dio non può certamente coincidere in maniera pedissequa con l’esperienza terrena e umana dell’amore, quella che i greci chiamavano eros, per indicare l’amore estatico, come uscita di sé e ricerca dell’altro, ma piuttosto – anche per quanto si può cogliere nel testo greco – esso si configura come agàpe, da intendersi come l’amore di donazione.

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Benedetto XVI, nella sua prima enciclica, così spiegava il senso di questa forma alta dell’amore, che si configura come “scoperta dell’altro, superando il carattere egoistico prima chiaramente dominante. Adesso l’amore diventa cura dell’altro e per l’altro. Non cerca più se stesso, l’immersione nell’ebbrezza della felicità; cerca invece il bene dell’amato: diventa rinuncia, è pronto al sacrificio, anzi lo cerca” (Deus caritas est, 6).

Questa risposta all’amore di Dio, tuttavia, non può prescindere dal misurarsi con l’amore del prossimo, di chi ci sta accanto. Le parole di San Giovanni nella sua prima Lettera sono lapidarie: “Se uno dice: “Io amo Dio” e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello” (1Gv 4, 20-21).

Spesso ci siamo sentiti dire: se vuoi amare il prossimo, devi amare prima te stesso. Non c’è alcun dubbio che ciascuno di noi debba riconoscere la propria dignità, rispettare sé stesso e avere cura della propria persona, ma la Parola che riecheggia solenne in questa domenica viene anche ad aprirci gli occhi circa il rischio di un egoismo narcisista, che viene spesso promosso dalla cultura in cui viviamo, all’insegna dell’immagine e del “like”.

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È sempre la scoperta dell’amore di Dio che ci precede, infatti, che dà dignità alla nostra vita e contemporaneamente, scoprendolo in noi che siamo esseri amati, unici agli occhi di Dio, ne vediamo riverberarsi la bellezza anche nei nostri fratelli.

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