L’amore è la chiave del Regno
La liturgia dell’ultima domenica dell’anno liturgico, in cui si celebra la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo, ci proietta spiritualmente al capolinea della storia, al giorno del giudizio, quando si inaugurerà la dimensione definitiva del Regno di Dio. Già in apertura del brano evangelico, che completa l’ultimo dei cinque discorsi di Gesù su cui è costruito il Vangelo secondo Matteo, ci viene detto che in quel giorno Gesù verrà nella sua gloria.
Mentre la prima venuta di Gesù nella carne umana attraverso il grembo di Maria è avvenuta nell’umiltà del presepio e nel nascondimento della quotidianità, la sua ultima venuta sarà gloriosa, non più solo per quelli che hanno accettato la sua proposta d’amore mediante la fede, facendosi suoi discepoli, ma proprio per tutti, cristiani, non cristiani, credenti, non credenti, buoni e cattivi. La regalità di Gesù, diversa da quella umana, che si fonda sul potere politico, economico e militare, si manifesterà in pienezza in quel giorno.
È la regalità del Crocifisso-Risorto, di chi non è venuto nel mondo per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per tutti. La sua intronizzazione è avvenuta sulla croce, “talamo, trono ed altare, al corpo di Cristo Signore” (dalla liturgia). È lì che il Signore e il Maestro ha amato sino alla fine (cfr. Gv 13,1), dando la sua vita senza riserve, assumendo la condizione di servo. La piena realizzazione del suo Regno, dunque, non può avvenire in maniera diversa: l’amore ne è la chiave. Riconoscere la sovranità di Cristo, entrando a far parte del suo Regno, si traduce nella scelta della via dell’amore sin da questa vita, proprio come ha fatto Lui.
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È su tale amore, infatti, che tutti saremo giudicati nel momento della nostra morte e al termine della storia. Non si tratta di un amore astratto e ideale, ma profondamente concreto, misurabile nel modo in cui ci siamo presi cura dei fratelli più piccoli, quelli nel bisogno. L’amore verso il fratello affamato, assetato, straniero, nudo, ammalato e carcerato, è lo stesso amore verso Cristo, che ha scelto di identificarsi con i piccoli e i poveri.
Servire loro, dunque, significa servire il Re in persona, come allo stesso modo ignorarli, rimanere indifferenti, significa assumere lo stesso atteggiamento nei confronti di Cristo. Chi ha ricevuto la grazia del battesimo e avendo accolto l’annuncio del Vangelo di Cristo vive la propria vita di fede, ha un’abbondanza di doni e strumenti per poter vivere in pienezza questa chiamata all’amore.
Tutto questo, però, da sé non è garanzia di salvezza, se non si traduce in una “fede che si rende operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6), perché – come ci ricorda la lettera di San Giacomo – “la fede senza le opere è morta” (Gc 2,26). Chi ha ricevuto questi doni di grazia, ossia di poter incontrare Cristo già in questo mondo, attraverso l’annuncio della salvezza, se non li mette a frutto avrà una responsabilità maggiore. Chi, invece, senza propria colpa, non ha potuto conoscere Cristo in questa vita, ma allo stesso modo si è sforzato di vivere secondo coscienza, nella verità e nell’amore – secondo la promessa di Gesù – potrà essere annoverato tra i giusti, partecipando in pienezza dell’eterna felicità.
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