Don Luciano Labanca – Commento al Vangelo del 24 Aprile 2022

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La pace, forza dell’annuncio

Il brano proposto nella domenica dell’ottava di Pasqua ha come tema centrale la fede della Chiesa nel Cristo Risorto, il Vivente. L’apparizione del Risorto ai discepoli, “confinati” per paura dei Giudei, è il modo con cui Egli li rassicura, donando loro la vera pace del cuore. Essi, nonostante avessero accolto l’annuncio delle donne, restavano ancora paralizzati dalla paura, sentimento che toglie la pace del cuore e fa vivere nell’ansia e nell’insicurezza. In essi si era certamente accesa la speranza, ma l’ostacolo di riconoscere nel Vivente lo stesso Cristo che avevano visto tanto miseramente soffrire e morire sulla croce, continuava ancora a paralizzarli. L’incontro con il Signore risorto, che mostra loro le mani e il fianco, in cui sono impresse per sempre le ferite gloriose, è il segno definitivo perché la loro paura si trasformi in gioia ed entusiasmo.

Il dono della vera pace di Cristo non è certamente un privilegio dei discepoli, ma è il motore del loro annuncio. Essi non potranno trattenerla solo per loro stessi, ma dovranno testimoniarla con generosità a coloro cui sono inviati. Sarà loro compito quello di proseguire la missione del Risorto: essi sono inviati dall’Inviato del Padre. Ricevendo la forza dello Spirito divengono per il mondo annunciatori e operatori di pace, specialmente attraverso la condivisione del frutto più importante della risurrezione di Gesù, ossia la Misericordia e il perdono dei peccati. Nulla, infatti, in questo mondo abitato dalla paura, dalla tristezza e dall’angoscia, può donare una pace più grande di quella che deriva dal perdono dei peccati: è davvero l’esperienza di una nuova creazione quella che si realizza nel cuore dei credenti ogni volta che con umiltà si pentono e si accostano con fiducia al mistero del perdono di Dio, affidato al ministero della Chiesa, specialmente attraverso il sacramento della riconciliazione.

Accanto alla fede del gruppo, rafforzata dalla presenza del Risorto, il brano di questa domenica ci invita anche a riflettere sull’esperienza di Tommaso, detto “Didimo” (gemello). Egli è un po’ il gemello di ciascuno di noi, quando siamo incapaci di credere sulla Parola e abbiamo bisogno di segni e di conferme, per poterci finalmente affidare. Anche per lui risultava troppo difficile concepire che lo stesso Crocifisso fosse risorto. Anche a Tommaso Gesù vuole estendere il dono della pace vera e lo fa manifestandosi a lui con generosità: da questa irruzione sorge una fede profonda. È proprio Tommaso, infatti, ad esprimere la più alta professione di fede in Gesù che troviamo nel Nuovo Testamento. Egli chiama Gesù: “Mio Signore e Mio Dio”, utilizzando i due nomi di Dio della Scrittura (Yahwe ed Elohim).

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In altre parole Egli riconosce in Gesù risorto lo stesso Dio Creatore e liberatore di Israele, cui aggiunge anche l’aggettivo possessivo “mio”, per esprimere tutta la forza di un’adesione personale al Cristo vivente. La fede di Tommaso, dunque, è sia oggettiva, perché aderisce  alla verità su Dio, pienamente rivelata in Cristo , sia soggettiva, perché risponde ad essa con l’adesione profonda della sua vita, con tutte le facoltà: mente, cuore e persino sensi. Tommaso, per questa fede, viene lodato da Gesù, ma la sua beatitudine viene immediatamente estesa ed ampliata verso coloro che – come gli altri discepoli e tutti noi – sono capaci di credere senza segni sensibili, fidandosi solo della Parola dei testimoni.

Ed è proprio per suscitare e rafforzare questa fede pura, infine, che Giovanni ha voluto scrivere il suo Vangelo, in cui – come lui stesso ha ammesso – solo una piccola parte dei segni e delle parole di Gesù è stata conservata nella misura sufficiente perché si accendano i nostri cuori a credere che Lui è il nostro Signore e il nostro Dio e avere la vita piena in Lui. Sentiamo effettivamente di essere inseriti anche noi in questa dinamica della fede? Desideriamo crescere nella conoscenza e nell’amicizia con Cristo, per vivere la sua stessa vita?


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