La traversata, dalla paura al timore
Dopo l’insegnamento in parabole avvenuto a Cafarnao e sul quale ci siamo soffermati domenica scorsa, nel brano odierno troviamo l’invito di Gesù rivolto ai discepoli a passare all’altra sponda del lago, per poter proseguire la missione anche in altri luoghi.
Al di là del racconto relativo allo spostamento, circa il quale per giunta l’Evangelista non ci offre alcun dettaglio, l’episodio sembra richiamare qualcosa di più profondo: si parla di una traversata, del passaggio da una sponda all’altra. Non è proprio così la vita umana?
Anzitutto un essere traghettati da un luogo all’altro, secondo quello che Dio ha pensato per noi, di tempo in tempo, di età in età. C’è poi una traversata finale: quella dal tempo all’eternità, da questa vita al cielo, da questo mondo al Padre.
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In questa traversata, in ogni movimento che compiamo, dalla prima volta che siamo “messi in acqua” mediante il Battesimo, non siamo mai abbandonati a noi stessi, ma siamo sempre custoditi in una barca speciale, quella di Pietro e degli altri Apostoli, la Chiesa di Gesù. Questa barca esiste per proteggere, per custodire i discepoli e permettere loro di non fare la traversata da soli, ma in comunità e nella presenza costante del Signore, che è sempre lì. È stato chiaro Gesù, non avrebbe mai abbandonato i suoi: “sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20).
La configurazione geografica del lago di Tiberiade e il clima della regione sono particolarmente propensi a tempeste improvvise e violente, che agitano fortemente le acque e possono creare non pochi problemi ai naviganti.
La traversata di quella notte fu segnata da una di queste esperienze. Come per i discepoli quella notte, anche le nostre traversate in questa vita possono essere burrascose e, nonostante siamo nella barca della Chiesa, possiamo facilmente vedere come essa sia sballottata da tante difficoltà: tempeste esterne e tempeste interne, dovute a persecuzioni, ostacoli, ideologie e, non da ultima, la pesante zavorra di peccati personali e comunitari che può ulteriormente appesantire la navigazione.
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Sconvolti dalla potenza delle onde, può capitare di non sentire sempre la presenza del Maestro, che sappiamo essere sempre lì ed avere a cuore prima di tutto la sicurezza della nostra traversata verso il porto sicuro del suo amore.
Le parole del Sal 107, descrivono bene la situazione degli apostoli quella notte, come anche quella di ciascuno di noi nell’ora della prova: “Ondeggiavano e barcollavano come ubriachi: tutta la loro abilità era svanita. Nell’angustia gridarono al Signore, ed egli li fece uscire dalle loro angosce” (Sal 107, 27-28). Il Maestro dorme, dopo una giornata di fatica e di insegnamento.
Ma nel suo stesso insegnamento aveva detto che il Regno di Dio è “come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa” (Mc 4,26-27).
Anche se non se ne coglie umanamente la sensazione, egli è sempre lì, con una presenza discreta ed efficace, per far sì che il progetto della salvezza si realizzi. Siamo noi, piuttosto, a dover crescere nella certezza della fede, credendo senza vacillare e passando dalla paura delle tempeste al timore di Dio, che nella sua onnipotenza può sempre fermare la dirompenza del male.
Per gentile concessione di don Luciano Labanca, dal suo sito.