Don Luciano Labanca – Commento al Vangelo del 23 Gennaio 2022

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Lampada per i nostri passi

Dal 2019, con la lettera apostolica Aperuit illis, Papa Francesco ha istituito la Domenica della Parola di Dio nella III domenica del Tempo Ordinario. L’invito del Pontefice in questa ricorrenza è quello di riscoprire la centralità e la bellezza della Parola di Dio nella vita della Chiesa, come fonte di luce, di vita e di gioia per le anime dei fedeli. Il cristianesimo, al contrario di quanto si potrebbe pensare superficialmente, non è una religione del libro – come Ebraismo e Islam – ma è un incontro col Cristo vivente, la Parola Incarnata.

La Sacra Scrittura, specialmente nella mens catholica, rappresenta certamente la norma normans della fede, ma non esaurisce tutta la Parola Rivelata. Da sola, senza la Tradizione viva della Chiesa e il servizio del Magistero, presenterebbe una verità incompleta e mutilata. Inserita nella vita della Chiesa, che la custodisce, la medita, la proclama e la diffonde, la Scrittura continua ad essere “viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb 4,12). Attraverso la pagina evangelica che ci viene consegnata dalla liturgia quotidiana, composta da due parti, siamo invitati ad una profonda riflessione sul nostro rapporto con la Parola.

La prima parte, il prologo del Vangelo secondo Luca (1,1-4), sottolinea che la finalità che ha spinto l’autore sacro, l’Evangelista Luca, medico di cultura greca e discepolo di Paolo, ispirato da Dio a scrivere il Vangelo, è stata quella di fornire a noi tutti, rappresentati da “Teofilo” (dal greco theophilos, colui che ama Dio), un resoconto ordinato per fortificare e corroborare la nostra fede attraverso il contatto con i fatti della vita di Gesù e le sue parole. In questa domenica, come “amanti di Dio”, anche noi dovremmo chiederci se il rapporto con la Scrittura, Parola di Dio viva e vera, è un vero aiuto a fortificarci negli insegnamenti ricevuti. Anzitutto bisogna domandarsi: sentiamo di doverci sempre fortificare nella fede? Desideriamo – come ci ricorda la Prima Lettera di Pietro – “dare ragione della speranza che è in noi” (1Pt 3,14)?

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La seconda parte del brano, poi, ci riporta agli inizi della vita pubblica di Gesù (4,14-21). Dopo i suoi “esercizi spirituali” di quaranta giorni nel deserto, dove sperimenta la solitudine e la tentazione, Gesù, pieno di Spirito, insegna come maestro autorevole e popolare. Egli è a servizio del Padre e guidato dallo Spirito, annunciando il Regno con coraggio e trasparenza. È il vero Maestro, in cui vita e parola coincidono pienamente. Egli insegna con “parole e gesti intimamente connessi” (Dei Verbum, 2), per questo tutti lo cercano e lo lodano. Gesù, come rabbi, di sabato è ammesso nella sinagoga di Nazaret, la sua città, a leggere pubblicamente la Scrittura e spiegarla.

Non legge una parola casuale, ma un brano di Isaia (Is 61,1-2), tra quelli che delineano la figura e la missione del Messia atteso da Israele, l’Inviato da Dio ad annunciare la salvezza e salvare l’umanità dal peccato e dalla morte. Subito dopo, Gesù riavvolge il rotolo e lo riconsegna all’inserviente. Non è un dettaglio secondario: rappresenta la fine di un’epoca, quella della profezia, dell’Antico Testamento, per aprire il tempo compiuto della piena rivelazione nel Figlio. Il rotolo dell’Antico Testamento viene chiuso e consegnato all’inserviente, come rappresentante del popolo d’Israele: esso ha ormai svolto la sua funzione preparatoria della venuta del Messia. Tutti i presenti lo fissano con attenzione, interesse e ammirazione, ma le sue parole sono come macigni.

Con Lui, il Verbo fatto carne, la Scrittura si compie. Non viene eliminata, ma germina nel frutto maturo del compimento pieno della Rivelazione. Ci ricorda ancora il Concilio: “Egli [Cristo], vedendo il quale si vede anche il Padre (cfr. Gv 14,9), col fatto stesso della sua presenza e con la manifestazione che fa di sé con le parole e con le opere, con i segni e con i miracoli, e specialmente con la sua morte e la sua risurrezione di tra i morti, e infine con l’invio dello Spirito di verità, compie e completa la Rivelazione e la corrobora con la testimonianza divina, che cioè Dio è con noi per liberarci dalle tenebre del peccato e della morte e risuscitarci per la vita eterna” (Dei Verbum, 4).

Siamo consapevoli che Gesù è il rivelatore pieno e definitivo del Padre? Investiamo sufficientemente le nostre energie spirituali nella conoscenza e nell’incontro con Lui, approfondendoli in un costante contatto con la sua Parola, o siamo in ricerca spasmodica di esperienze straordinarie, che ci distolgono dall’ascolto umile ed edificante della sua Verità, rivelataci in maniera piena e definitiva? Quell’oggi riferito da Gesù, infine, rappresenta un richiamo al valore del quotidiano. L’insegnamento di Gesù richiede un passaggio dalla Parola alla vita, dall’ascolto all’azione.

A noi il compito di tradurre la Parola in esperienza, in scelte, in comportamenti e in azioni, che facciano risplendere la sua luce sui nostri passi, come ci ricorda il Salmo: “lampada per i miei passi è la tua Parola, luce sul mio cammino” (Sal 118, 105).


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