Don Luciano Labanca – Commento al Vangelo del 22 Gennaio 2023

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Per volontà di Papa Francesco, a partire dal 2020, la Terza domenica del Tempo Ordinario è dedicata alla Parola di Dio. È ovvio che ogni domenica fondamentalmente lo è, dal momento che siamo sempre chiamati a nutrirci alla doppia mensa, quella della Parola e del Pane di vita. In questa, in particolare, il Santo Padre ci invita a riflettere in modo ancora più profondo sul nostro rapporto con la Parola, che è faro per il nostro cammino di fede, come ben canta il salmo 118: “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino”. Entrando nel brano del Vangelo di questa domenica, contempliamo Gesù che inizia il suo ministero a Cafarnao, nella terra di Zabulon e Neftali, tradizionalmente considerata una zona pagana, lontana dalla sfera di influenza del giudaismo tradizionale.

L’evangelista Matteo rilegge questi eventi richiamando una profezia di Isaia, che fa riferimento proprio ad un evento di luce che accade per quei popoli. La luce della Parola, attraverso la presenza e la predicazione del Verbo fatto carne, rifulge per quei popoli apparentemente abbandonati alle tenebre. Quando diveniamo destinatari di una parola, facciamo esperienza di esistenza. Se ci pensiamo, cosa c’è di più terrificante di non vedersi rivolgere la parola da qualcuno? Dio non resta indifferente, per questo motivo, sin dalla creazione parla al cosmo e all’umanità, facendo passare con la forza della sua Parola dal non essere all’essere.

Il salmista riecheggia questa circostanza del silenzio di Dio accostandola all’esperienza della morte: “A te grido, Signore, mia roccia, con me non tacere: se tu non mi parli, sono come chi scende nella fossa” (Sal 28,1). Dio parla al cuore dell’uomo come ad un amico e vuole anzitutto che egli si renda conto della sua presenza e della sua attenzione. È questo il senso dell’espressione di Gesù, secondo la quale il regno dei cieli sta arrivando, è prossimo. In fin dei conti, questo è il contenuto più essenziale della Parola: Dio c’è, è vicino a noi, tanto da farsi carne nel grembo di Maria.

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Questa irruzione ha certamente una conseguenza: l’uomo non è più solo, né schiavo delle tenebre. Egli è nella luce e per la luce, per questo deve convertirsi, ossia cambiare mentalità, orientarsi sempre di nuovo verso di essa, lasciando le opere delle tenebre. San Paolo ce lo ricorda bene: “È ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce” (Rm 13,11-12). In questo clima di illuminazione e di ascolto, si inserisce sempre di nuovo il mistero della vocazione.

Dio parla a tutti, ma ad alcuni rivolge l’invito ad un coinvolgimento ancora più profondo: quello di lavorare per il regno a tempo pieno. In questa domenica della Parola, con onestà e coraggio, chiediamoci: perché oggi si avverte meno nelle nostre comunità questo desiderio di coinvolgimento vitale dei nostri giovani nella causa del Vangelo? Forse perché Gesù non chiama più, oppure forse perché i nostri giovani non sono più generosi?

Non è forse, invece, perché non siamo più in grado di rimanere in questo clima di illuminazione e di ascolto che solo la Parola viva ed efficace di Cristo può darci? Torniamo a fare un po’ più di silenzio, ad ascoltare, a familiarizzare con la Scrittura e forse così, come Chiesa, torneremo ad ascoltare la voce dello Sposo, che ci parla e parla al cuore di tanti per chiederne un coinvolgimento e un impegno più profondi, senza lasciarci distrarre dal tanto fare, dalla sete di iniziative, che spesso genera soltanto protagonismo e mediocrità, senza intima adesione a Lui.

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