Fede intensa e umiltà profonda
Cosa chiediamo al Signore nella nostra preghiera? Spesso gli presentiamo bisogni materiali, come la guarigione da una malattia fisica per noi o per qualcuno a cui vogliamo bene, qualche volta l’aiuto per realizzare un progetto o un desiderio. Tutto questo non è illegittimo, ma forse secondario. Il Vangelo di oggi, attraverso la richiesta degli apostoli, che ha il sapore di una preghiera, ci invita a chiedere al Signore qualcosa di più profondo: aumentare la nostra fede.
In primo luogo si deve notare che la stessa preghiera è espressione della fede. Quindi, per pregare, è importante che un po’ di fede ci sia già. Se non credo che ho di fronte a me una persona viva a cui parlare, come posso chiedergli qualcosa? Questa fede, dall’altro canto, viene anche accresciuta e nutrita dalla preghiera: ecco perché chiedere al Signore di intervenire.
La virtù della fede consiste in quello spazio fiduciale in cui riconosciamo che da soli non possiamo salvarci e abbiamo bisogno della sua grazia, del suo intervento divino per essere salvati. Questo spazio fiduciale è un dono da chiedere e coltivare costantemente nel nostro dialogo filiale con il Padre. Gesù, rispondendo alla richiesta degli apostoli, offre l’immagine del gelso, l’albero dalle radici più forti e profonde, che per un solo pizzico di fede, grande quanto un granello di senape, il più piccolo seme presente in natura, potrebbe essere facilmente sradicato.
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La fede, dunque, non si misura in quantità, ma in intensità e, quando è forte, può davvero trasformare il mondo, perché lascia fare a Dio: è la porta attraverso la quale Egli agisce nel mondo e nella storia. Accanto all’esigenza di una fede profonda e radicale, Gesù invita anche a coltivare un’altra virtù, che va di pari passo con essa e che ne è il presupposto: l’umiltà. Solo chi si fa piccolo, è capace di riconoscere il bisogno che ha dell’Altro.
Attraverso l’immagine del padrone esigente verso il servo, Gesù non vuole certamente presentare l’immagine di Dio: Egli non agisce in modo esigente e opprimente verso i suoi servi, come i signorotti del tempo di Gesù – e forse anche dei nostri tempi! – ma vuole piuttosto sottolineare l’atteggiamento che il discepolo dovrebbe avere verso di Lui.
Chi ha la grazia di aver fede e seguire il Signore deve vivere e comportarsi da servo, come Cristo stesso ha fatto, senza pretenziosità, ma soltanto donando gratuitamente la propria vita: Cristo Gesù – come ci ricorda San Paolo – “pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo” (Fil 2,6-7).
Le esigenze del discepolato sono certamente alte, ma in fin dei conti vale la pena accoglierle, per rimanere nell’amicizia di un “Padrone” che ci ama.