Con la solenne celebrazione della Domenica delle Palme entriamo nei riti della Grande settimana, la Settimana Santa. Con il gesto della benedizione dei rami di ulivo e di palma rievochiamo liturgicamente il solenne ingresso di Gesù nella città santa di Gerusalemme. Benedetto XVI ci ricordava che in questo modo ciascuno di noi viene inserito nell’eterna processione con la quale la Chiesa si pone sulle orme di Cristo: “La nostra processione odierna vuole quindi essere l’immagine di qualcosa di più profondo, immagine del fatto che, insieme con Gesù, c’incamminiamo per il pellegrinaggio: per la via alta verso il Dio vivente. È di questa salita che si tratta. È il cammino a cui Gesù ci invita” (Omelia per la domenica delle Palme, 2011).
Come i discepoli di Gerusalemme lo accolsero solennemente, con rami di palme e ulivo, così anche noi, suoi discepoli di oggi, vogliamo metterci dietro di lui, seguirlo nel cuore del mistero pasquale della sua morte e risurrezione. Non c’è vita cristiana, vero discepolato, se non nella sequela di Cristo nel suo mistero pasquale. Un padre della Chiesa, commentando l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, così si esprime: “Il re umile e mansueto è alle porte. Nei cieli egli cavalca sui cherubini, quaggiù è seduto su un puledro di asina. Prepariamo la dimora della nostra anima. Togliamo le ragnatele, cioè ogni rancore contro i fratelli. Non si trovi in noi la polvere delle critiche, ma laviamo abbondantemente tutto con l’acqua dell’amore. Livelliamo le gobbe dell’inimicizia, inghirlandiamo i portici delle nostre labbra con i fiori della bontà. Uniamoci alle acclamazioni della folla: Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele!” (San Proclo di Costantinopoli, Oratio IX, In ramos Palmarum, 1-3.4. PG 65, 772-777).
Il gesto di benedire i rami di palma e di ulivo, che scambiamo tra noi come segni di pace, di riconciliazione, ci aiuta in questa preparazione alla Pasqua: lasciamo spazio alla comunione fraterna, alla riconciliazione! Questo è vivere la Pasqua!
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Nella seconda parte della liturgia della Domenica delle Palme siamo invitati alla contemplazione della Passione di Gesù, quest’anno secondo la versione di Matteo, che ha un’enfasi tutta particolare sul compimento delle Scritture. La Passione e la morte di Gesù sono il compimento della Legge e dei Profeti. È lì che l’amore di Dio annunciato nell’Antico Testamento diventa profondamente concreto e tangibile nel dono della vita del Figlio per la nostra salvezza. Con il popolo radunato davanti a Pilato, che vilmente si lava le mani per non essere responsabile del sangue innocente di Cristo, anche noi ripetiamo: “Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli” (Mt 27,25).
Quelle parole pronunciate dal popolo con rabbia, sono una vera profezia di salvezza! Si, davvero vogliamo che il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli per salvarci, per purificarci, per renderci nuove creature! Già nel gesto dell’ultima cena, profezia e anticipazione della donazione totale di Gesù sulla croce, che rappresenta la prima scena del dramma della Passione, Gesù ha solennemente annunciato: “questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati” (Mt 26,28). In quel «per molti» si ritrova il senso della donazione totale di Gesù. Nel linguaggio semitico, in questa espressione, c’è il senso della totalità, ma nello stesso tempo anche quello della necessità di aderire personalmente a questo dono.
Nel credo noi proclamiamo solennemente: “propter nos homines et propter nostram salutem…“, ossia la motivazione dell’incarnazione, passione, morte e risurrezione di Gesù siamo noi e per la nostra salvezza. Entrando nella Settimana santa, siamo invitati a vivere questi giorni di grazia seguendo Gesù in tutti i passaggi della sua spoliazione, fino alla morte, ricordando che tutto Egli ha realizzato per noi, per ciascuno di noi, per me, per te, lasciandosi schiacciare da tutto il male del mondo! Non c’è vita cristiana senza la croce. Non basta saperlo intellettualmente, ma è necessario sentirlo profondamente, aderirvi con la mente e la volontà nella fede e nell’obbedienza. Gesù è morto duemila anni fa per me, ma io ho bisogno di questa salvezza nell’oggi della mia vita.
Non posso pensare di stare a posto, di non avere bisogno di Lui. Seguendo Gesù che entra solennemente in Gerusalemme, chiediamo la grazia di poter sentire interiormente in noi il bisogno e la sete della sua salvezza. Solo Cristo, con la sua Croce e la sua Risurrezione, può darci la salvezza: “non c’è altro nome dato agli uomini in cui sia data la salvezza” (At 4,12). Potremo anche guadagnare il mondo intero, ma se perdiamo noi stessi, nulla ha senso. Cristo ha cura di noi, ci ama, ci attende, non rifiutiamo questa grazia, ma lasciamoci toccare da Lui, specialmente attraverso la grazia dei sacramenti, della Riconciliazione e dell’Eucaristia, questi segni di grazia, in cui lo Spirito Santo entra in noi e ci fa partecipi della sua salvezza.
Quando scegliamo questa posizione “senza infamia e senza lodo” (Dante, Inferno, III, 36), dovremmo ricordare di quanto il veggente scrive all’angelo della Chiesa di Laodicea nel libro dell’Apocalisse: “Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca” (Ap 3,15-16).