Fino all’orlo
La conclusione del brano evangelico di questa domenica ci fa immediatamente comprendere il perché venga proclamato proprio all’inizio del Tempo Ordinario: è il primo dei segni compiuti da Gesù, secondo la struttura del Vangelo di Giovanni. Nella tradizione della Chiesa, inoltre, è stato sempre associato alla solennità dell’Epifania, in cui come in un unico mistero si ricordano i tre eventi di manifestazione della gloria di Gesù: nell’adorazione dei Magi, nel Battesimo e nella sua rivelazione alle nozze di Cana.
Questo segno, dunque, possiamo vederlo un po’ come la porta per entrare nel tempo in cui, accompagnati dalla liturgia della Chiesa, mediteremo sul ministero pubblico di Gesù. Prima di addentrarci nel segno, riprendendo ancora l’espressione finale, ne troviamo spiegate le finalità: è una manifestazione della sua gloria e suscita la fede nei suoi discepoli. Ogni segno, miracolo o prodigio di Gesù nelle Scritture, ha sempre questa finalità: è un dito puntato sulla vera identità di Gesù, vero Dio e vero uomo, da conoscere, incontrare e adorare, e serve sempre a suscitare la fede in chi ne fa esperienza.
Tornando al segno di Cana, villaggio non lontano da Nazaret, prima di tutto ci colpisce il contesto: è una festa di nozze. In molte pagine delle Scritture, sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, il rapporto tra Dio e il suo popolo viene descritto secondo il paragone nuziale: Egli è lo sposo dell’umanità. Sorprende come nel racconto delle nozze di Cana non si parli degli sposi. La ragione è che il vero protagonista è Gesù, unico e definitivo sposo dell’umanità.
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Accanto a Lui c’è sua madre, probabilmente parente degli sposi. Venendo meno il vino, elemento fondamentale della gioia della festa, è proprio lei a prendere l’iniziativa di parlarne al Figlio. Questa presenza sollecita e attenta di Maria, che troviamo all’inizio del ministero pubblico di Gesù, si ritroverà di nuovo sotto la croce nel Vangelo di Giovanni e accompagna Gesù anche nel tempo della Chiesa. Dante, il sommo poeta, nell’ultimo canto del Paradiso, descrive in maniera magistrale questo ruolo di Maria: “La tua benignità non pur soccorre/ a chi domanda, ma molte fïate/ liberamente al dimandar precorre” (Paradiso, Canto XXXIII, vv. 16-18). La sua sollecitudine è tale che spesso non c’è bisogno di chiederle qualcosa, ma lei interviene liberamente ancora prima che le venga chiesto.
La risposta di Gesù ha suscitato molte riflessioni nella storia dell’interpretazione di questo testo: il figlio manca di rispetto a sua madre? Perché è così rude nei suoi confronti? L’interpretazione che sembra più attendibile, tuttavia, è quella che richiama il linguaggio orientale, in cui qualcuno che vuole sottrarsi a una richiesta, lo fa porgendo un’altra domanda. Questa lettura sarebbe confermata anche dalla motivazione addotta dal Maestro. La sua “ora”, concetto centrale del linguaggio di Giovanni, non è ancora giunta. La gioia della festa dell’umanità Gesù potrà ripristinarla soltanto nel momento della sua morte e resurrezione, quando finalmente sposerà la Chiesa sulla croce.
Dopo questo richiamo di Gesù al mistero della sua Pasqua, Maria invita i presenti – e con loro tutti noi – a realizzare ciò che Lui dirà. Nel compimento della sua Parola c’è la strada della vera gioia, della realizzazione della festa senza fine e Maria ce lo ricorda sempre di nuovo. Lei, con il sì all’angelo e l’adesione costante alla volontà del Padre, l’ha vissuto in prima persona e ci invita a fare lo stesso.
Gesù dà un’istruzione semplice: si devono riempire d’acqua le anfore, utilizzate per la purificazione rituale dei giudei. Il senso del gesto è chiaro: l’umanità deve necessariamente metterci del suo, in tutto ciò che può, “fino all’orlo”, perché Dio possa fare la sua parte. Nella teologia scolastica si dice: gratia perficit naturam. La grazia porta a perfezione la natura. Con questa disponibilità a seguirlo e a fare umanamente tutto il necessario, si lascia a Gesù la possibilità di compiere il resto: l’acqua del nostro impegno umano, con il suo intervento divino, viene trasformata nel vino della grazia, che reca la gioia senza tramonto, proprio come il vino buono, che si distribuisce fino alla fine, cioè sempre.
Chiediamoci, allora, in questa domenica: nella mia vita umana e cristiana, posso dire di essere totalmente centrato sulla ricerca della volontà di Dio, o piuttosto, desidero che Lui si pieghi ai miei desideri e alle mie aspettative? E poi, posso dire di aver riempito davvero la mia giara fino all’orlo, nel senso di aver umanamente posto tutto il mio impegno in ciò che sono chiamato a fare, sapendo che poi la grazia farà il resto?
Per gentile concessione di don Luciano Labanca, dal suo sito.