Don Luciano Labanca – Commento al Vangelo del 18 Aprile 2021

2006

La “carnalità” di una vera fede

La Resurrezione di Gesù, centro della fede e della testimonianza cristiana, è l’evento luminoso che la Chiesa celebra ininterrottamente da 2000 anni ogni volta che professa pubblicamente tale verità e ogni volta che amministra i sacramenti, in modo speciale quando offre l’Eucaristia, memoriale della vera Pasqua. Questo dinamismo inarrestabile ha preso avvio grazie all’incontro del Risorto con gli Apostoli e in maniera misteriosa ed evidente ha continuato a crescere e diffondersi nella storia dell’umanità, fino a giungere a noi, cristiani del XXI secolo. Il brano di questa domenica, raccontandoci il seguito del celebre incontro di Gesù viandante con i discepoli di Emmaus, ci invita a contemplare gli inizi del contagio della gioia pasquale.

Chi incontra veramente il Risorto, non può trattenere questa gioia per se, ma deve necessariamente condividerla. Parlare di Lui, testimoniarlo con la vita, lo rende sempre nuovamente presente ad ogni uomo, in ogni tempo e in ogni luogo. Non sempre però, questo dinamismo è semplice. Gesù stesso, dalle parole che rivolge ai suoi discepoli, conosce bene la fatica e le difficoltà che essi e quelli che verranno dopo di loro possono avere nel riconoscerlo. Vedere e credere che un morto è vivo e un crocifisso è risorto, si presenta sempre come una grande sfida per la regione umana. Tuttavia quando la ragione riesce a superare le sue titubanze, lasciandosi avvolgere dal mistero, il Mistero stesso la illumina e la eleva al piano della fede: “sono proprio io!”.

Un dettaglio di questa narrazione merita di essere sottolineato: per la gioia e lo stupore iniziale, i discepoli non riescono ancora a credere. Sembra di potervisi leggere un messaggio per noi: i facili entusiasmi, le emozioni forti e la paura, che spesso sono associati alle nostre esperienze religiose, possono essere dannosi per la vera fede, ponendosi addirittura come ostacoli ad essa. Spiegando la parabola del seminatore, Gesù ha commentato la sorte del seme della Parola che cadendo sulla pietra germoglia velocemente, ma secca subito: “Quelli sulla pietra sono coloro che, quando ascoltano, accolgono con gioia la parola, ma non hanno radice; credono per un certo tempo, ma nell’ora della tentazione vengono meno” (Lc 4,13). Questo è l’effetto che una fede solo – o troppo – emotiva può creare in noi: un facile entusiasmo, che si rivela poi incostante perché senza radice.

- Pubblicità -

Una fede pura, invece, pur non escludendo una certa carica emotiva, deve fondarsi su motivazioni ben più profonde, che vanno conosciute e nutrite attraverso un incontro personale con il Maestro, capace di illuminare ogni aspetto della nostra esistenza concreta, avendo una incidenza profonda sulle nostre scelte, sulle nostre azioni e sulle nostre parole. Senza questa “carnalità” della fede, si corre il rischio di trasformare il cristianesimo in un mito, che rimane estraneo dalla nostra storia, generando una profonda cesura fra quanto professiamo con la bocca e pensiamo con la mente e quanto viviamo nella vita quotidiana. Papa Francesco riferendosi a questo “gnosticismo attuale”, lo ha indicato come uno dei peggiori ostacoli alla santità: “Grazie a Dio, lungo la storia della Chiesa è risultato molto chiaro che ciò che misura la perfezione delle persone è il loro grado di carità, non la quantità di dati e conoscenze che possono accumulare.

Gli “gnostici” fanno confusione su questo punto e concepiscono una mente senza incarnazione, incapace di toccare la carne sofferente di Cristo negli altri, ingessata in un’enciclopedia di astrazioni. Alla fine, disincarnando il mistero, preferiscono «un Dio senza Cristo, un Cristo senza Chiesa, una Chiesa senza popolo»” (Esortazione apostolica Gaudete et exsultate, 37). In sintesi, il Mistero si può incontrare solo attraverso le Scritture, da leggere e comprendere nella luce di Cristo Crocifisso e Risorto. A tale incontro segue la prova dei fatti della nostra fede, che si misura sempre in una carità costante e operosa, capace di riconoscere nei nostri fratelli la stessa carne sofferente di Gesù. Questo è santità!


Fonte