L’Unum necessarium
Dopo la riflessione suscitata dalla Parola di Dio domenica scorsa, con l’episodio del Samaritano tutto incentrato sull’attenzione verso il prossimo, oggi la liturgia ci invita a riflettere su un altro tipo di accoglienza, quella verso Cristo stesso. Il Maestro è in cammino verso Gerusalemme, come già ben sottolineato nel capitolo IX del Vangelo di Luca.
Lo sguardo del narratore si focalizza immediatamente su Marta, donna di un villaggio privo di nome, che secondo la narrazione giovannea sarebbe Betania, a poche miglia dalla città santa. Ella accoglie Gesù come ospite d’onore nella sua casa. Accanto a lei entra in scena un’altra donna, Maria, che viene descritta in un atteggiamento di profondo ascolto della parola dell’Ospite divino. Seduta ai piedi del Maestro, ella è presentata esattamente come i discepoli ai piedi dei rabbini per ascoltarne gli insegnamenti.
Il fatto che una donna stesse in quell’atteggiamento di ascolto, che in Israele era riservato ai soli uomini, la dice lunga sul ruolo centrale che Gesù stesso assegna alla donna, ponenodsi in forte discontinuità nei confronti della tradizione giudaica, perché le concede la possibilità di nutrirsi della Parola, come i veri discepoli. Possiamo immaginare che questa donna, presa dal fascino del Signore, letteralmente pendesse dalle sue labbra. La scena è come disturbata dal rumore delle stoviglie e dei preparativi compiuti da Marta per dare una degna accoglienza a Gesù. Ella viene descritta come “distolta” (periéspato), ossia distratta, non in ascolto di quanto Gesù stesse dicendo, perché grandemente affaccendata.
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La tensione, tuttavia, raggiunge il suo culmine quando Marta stessa, come stizzita, si reca da Gesù e – con un tono aspro – attacca sua sorella, che sembra distolta a sua volta dai bisogni immediati, dall’emergenza del momento, che è quella di preparare bene. La risposta di Gesù, piena di amore, ma anche di tanto desiderio di aiutare Marta a cogliere la verità delle cose, è intensa e profonda: Ella si ritrova nell’affanno, perché il suo cuore è diviso (merimnao, che significa proprio dividere in parti), per le molte cose che la preoccupano.
Maria, invece, che non si è lasciata prendere dall’ansia da prestazione, è totalmente concentrata sull’unica cosa che conta veramente, ossia il silenzio e l’ascolto della Parola. Quella di Maria è la parte buona (tén meridén agathen), che non verrà mai meno, perché è già un anticipo dell’eternità, quando non ci saranno affanni, ma puro ascolto e contemplazione del volto di Dio. Le figure di Marta e Maria, nella tradizione della Chiesa, sono state spesso interpretate come rappresentative dei due stati di vita: quello attivo, impersonato da Marta, ossia di chi si dedica alla carità e all’apostolato nel mondo e quello contemplativo, impersonato da Maria, di chi invece si dona totalmente alla preghiera, all’ascolto e alla meditazione.
Questa lettura, tuttavia, che oppone in modo forte le due figure, si presenta piuttosto riduttiva. Ad uno sguardo più attento, infatti, emerge chiaramente come si tratti di un invito, da parte di Gesù, a coltivare sempre congiuntamente queste due dimensioni, che devono convivere nel cuore di ogni credente. L’ascolto, certamente, riveste una chiara priorità, perché permette al discepolo di nutrirsi di Cristo, di ascoltarlo, di incarnarne gli stessi sentimenti, ma esso non nega il servizio, che ne diviene il frutto.
Perché le due dimensioni possano essere vissute in maniera armonica nella vita del discepolo si richiede che il cuore mantenga la sua unità, senza essere trascinato nella dispersione e nella frammentazione, che un’attività frenetica, priva dell’ascolto e della riflessione orante, può causare. Ponendo Cristo, l’Unum necessarium, al centro, il discepolo – pur sporcandosi le mani con i servizi quotidiani – apprende a vivere già da questa terra la vita eterna, che consisterà nello stare con Lui per sempre e sarà appunto come quel seme che germoglia, perché è caduto sul terreno buono (tén ghén agathen), presentato da Luca qualche pagina prima dell’episodio odierno, nella parabola del Seminatore (cfr. Lc 8,8).