Don Luciano Labanca – Commento al Vangelo del 16 Maggio 2021

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Sursum corda, in alto i nostri cuori!

Con lo stile sintetico e asciutto che lo caratterizza, l’Evangelista Marco associa il mistero dell’Ascensione di Gesù con l’inizio della missione della Chiesa. Il Risorto, avendo portato a termine la sua opera terrena con la sua morte e resurrezione, affida agli Undici il mandato di andare in tutto il mondo e annunciare la buona notizia. Tutto il mondo ed ogni creatura, ossia ogni luogo e ogni persona, sono destinatari della Parola di salvezza. Cristo ci provoca sempre di nuovo a riconoscere che il suo Vangelo è per tutti, nessuno può essere escluso o sentirsi escluso da questa luce.

Il compito dei discepoli è quello di continuare con forza questo annuncio, sebbene la libertà dei destinatari possa prevederne l’accoglienza nella fede o anche un eventuale rifiuto. La veridicità della fede è sugellata dai segni materiali e spirituali che l’accompagnano: la vittoria sul male e sul peccato (scacciare i demoni), il dialogo, la comunione e le comunicazioni rinnovate (parlare lingue nuove), essere preservati dal soccombere alle difficoltà della realtà (prendere in mano i serpenti) e da quelle causate dalla malvagità umana (bere veleno senza averne danno), prendersi cura dei fratelli in senso materiale e spirituale (imporre le mani ai malati e guarirli). Dopo aver consegnato ai suoi queste “armi della luce”, Gesù è elevato in cielo e siede alla destra del Padre. L’azione è descritta in senso passivo: è Dio Padre che attrae il Figlio con la sua umanità glorificata nell’abbraccio amoroso della Trinità.

Questa sparizione dalla vista dei discepoli, tuttavia, non li lascia orfani, perché Gesù continua ad essere presente in un modo nuovo attraverso le membra del suo Corpo, la Chiesa, che continua la sua missione nella storia, in attesa di poter condividere in pienezza la stessa sorte del Figlio nella gloria. Salendo in cielo, Gesù si fa presente in un modo nuovo, al di là delle barriere del tempo e dello spazio, per accompagnare i suoi discepoli nella missione, portata avanti nel suo Nome. La sua umanità glorificata nel seno della Trinità è la caparra della nostra salvezza: se crediamo e accogliamo già da ora la sua vita divina in noi, che ci giunge attraverso la sua Parola e i sacramenti della Chiesa, potremo condividere anche la luce della sua gloria nell’eternità senza tramonto.

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La solennità dell’Ascensione, proprio mentre la tendenza della cultura contemporanea è quella di porre tutta la nostra attenzione e il nostro impegno verso ciò che è terreno, immanente e controllabile, ci sprona ad elevare lo sguardo del nostro cuore “verso le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra del Padre” (Col 3,1), per ricordarci che noi tutti siamo creati per il cielo, rafforzando il nostro desiderio di eternità e fissando tutta la nostra speranza in Dio. Questo, chiaramente, non si configura come una fuga dal mondo, ma come consapevolezza di dover vivere nel mondo, senza essere del mondo, perché la nostra vita è ormai “nascosta con Cristo in Dio” (Col 3,3).

Nella celebrazione dell’Eucaristia, nel dialogo precedente al Prefazio, prima del momento centrale della consacrazione delle specie del pane e del vino, il sacerdote con le parole “Sursum corda” (“In alto i nostri cuori”), invita l’assemblea ad assumere questo sguardo rinnovato e orientato verso il cielo. Tutti rispondono: “Habemus ad Dominum” (Sono rivolti al Signore). Ciò che si realizza nell’Eucaristia, quando per andare incontro a Gesù che si dona sull’altare, assumiamo questo atteggiamento di elevazione spirituale, dovrebbe essere un atteggiamento spirituale costante per noi. Non siamo più soli, infatti, perchè aderendo a Cristo, possiamo camminare per le strade del mondo con la sua forza e la luce della sua presenza nella Chiesa senza temere alcun male: “le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” (Mt 16,18), mai!


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