Don Luciano Labanca – Commento al Vangelo del 16 Aprile 2023

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La domenica dell’Ottava di Pasqua, totalmente splendente di luce pasquale, nella gloria della Resurrezione del Signore, attraverso il brano del Vangelo di Giovanni, ci riporta spiritualmente nel cenacolo, dove Gesù si manifesta ai suoi discepoli riuniti. Essi sono impauriti, se ne stanno rinchiusi nel cenacolo, dopo i fatti della passione e della morte, sono paralizzati dalla paura. Hanno già ricevuto l’annuncio delle donne, ma hanno bisogno ancora di essere confermati nella fede.

È Gesù, che,  manifestandosi, torna a dare pace e vita ai suoi, inviandoli in missione. Soltanto l’incontro con il Vivente, che mostra le sue mani e il suo fianco con i segni della sua passione impressi nel suo corpo glorificato, conferma ai suoi che la morte non ha avuto e non avrà mai più la meglio, ma è sempre la vita che trionfa. L’incontro con il Risorto trasforma la paura in gioia. Da questo incontro scaturisce la missione: nella forza dello Spirito, “che è Signore e dà la vita”, i testimoni sono inviati a far fiorire la Pasqua nel cuore degli uomini, specialmente attraverso il miracolo del perdono. Come nel corpo glorificato di Gesù, i segni del suo amore restano per sempre, così la sua Parola sulla Chiesa rimane irrevocabile: quando i suoi rimetteranno i peccati, questi saranno rimessi; quando non lo faranno, i peccati rimarranno sui cuori.

Sulla verità di questa parola di Gesù, si gioca l’esperienza della vita nuova, la vita dei risorti, che si realizza nelle anime. Attraverso il miracolo della Misericordia e del perdono, l’evento della risurrezione continua ad avere effetto nelle nostre vite. Il primo destinatario della missione degli Apostoli è uno di loro, Tommaso, Didimo (dal greco “didimos”, gemello), il gemello di ciascuno di noi, che – non essendo presente all’incontro dei suoi fratelli con il Risorto – riceve la testimonianza della risurrezione. Tommaso dubita, ha bisogno di altro, non gli basta la testimonianza che tramanda l’evento, vuole toccare e fare esperienza delle piaghe del Risorto in maniera diretta. Ha visto morire Cristo, per accettare che sia vivo, vuole vederlo. Dopo una settimana il Vivente gli si manifesta.

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Alla sua presenza, non ha bisogno di altro: esprime la più bella professione di fede del Nuovo Testamento, dice che Gesù è il suo Signore (Kyrios, traduzione di Elohim) e il suo Dio (Theos, traduzione di Adonai). Usa le due espressioni del nome di Dio dell’Antico Testamento, i nomi della rivelazione di Dio, applicati a Gesù. Il Risorto e il Vivente è il vero Dio creatore e Signore del tempo e della storia e, con quel pronome “mio”, conferma tutta la sua adesione di fede personale a questa verità.

L’esperienza di Tommaso è l’esperienza di ciascuno di noi, quando nella notte del dubbio veniamo toccati dall’incontro con Cristo. Il percorso della fede di ciascuno di noi è fatto di ricerca, di momenti di crescita, ma anche di oscurità. Quando però ci lasciamo coinvolgere dalla sua Presenza, la nostra fede matura e cresce e siamo destinatari di quella beatitudine espressa da Gesù: sono beati coloro che pur non avendo visto con gli occhi fisici, credono nel cuore che Egli è risorto e vivente e da questa fede ricevono la vita.

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