La pagina evangelica di questa domenica ci presenta un clima di grande festa per le nozze del figlio di un re. Questa atmosfera gioiosa è segno dell’avvento del Regno di Dio, che vuole coinvolgere l’uomo in questa luce. Dio parte anzitutto da una lista di invitati, persone che sono state destinatarie di una prima chiamata. Fuor di metafora, Gesù sta parlando ancora ai sacerdoti e ai farisei, i primi destinatari della chiamata, a cui fa sapere che ‘tutto è pronto!’.
Non c’è altro da attendere, si è già nel tempo della pienezza e della grazia. Eppure, in maniera tristemente sorprendente, essi rifiutano di godere della bellezza di questo momento di gioia. Alcuni non ritengono importante festeggiare e preferiscono il lavoro e il guadagno; altri, addirittura, leggono questo invito come motivo di molestia e reagiscono violentemente contro i poveri servi del re, che avevano avuto solo l’ingrato compito di recare un invito non loro.
Come nella parabola dei vignaioli omicidi, su cui ci siamo soffermati domenica scorsa, Gesù si riferisce al rifiuto verso i profeti e coloro che Dio aveva inviato per chiamare Israele. Di fronte al rifiuto, il re reagisce con forza, con distruzione e morte. Ci fa problema pensare che Dio possa assumere uno stile vendicativo e violento, eppure non doveva essere difficile per i lettori del Vangelo al tempo di Luca di pensare che queste parole di Gesù fossero profetiche, anticipando quello che sarebbe accaduto con la distruzione di Gerusalemme da parte dei romani.
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Dio non è mai causa del male, perché questo ne contraddirebbe la natura. A causa del peccato e del rifiuto, tuttavia, Egli può permettere a volte che il male diventi occasione di richiamo alla conversione e alla correzione per il suo popolo. Tornando al passaggio evangelico, vediamo come il re, preso atto del rifiuto degli invitati, non si perde d’animo, ma continua a chiamare. Il suo amore non ha limiti.
Ora tutti, proprio tutti, sono invitati ad entrare alla festa. È la chiamata universale alla salvezza: non importa la latitudine o la longitudine, l’appartenenza tribale, il genere, la professione, la lingua, la cultura e neppure la rettitudine morale. Possono entrare tutti alla festa! L’ingresso, però, non è garanzia di successo.
Chi rifiuta di rivestirsi dell’abito nuziale, condizione necessaria a partecipare alla festa, rende vano il suo ingresso e addirittura viene sottoposto all’umiliazione dell’essere allontanato. Tutti sono chiamati, è vero! È un atto grandioso della Misericordia del Padre. Essere degni e perseveranti fino alla fine, tuttavia, è un’altra storia! Se non gettiamo via l’abito vecchio del peccato e non indossiamo l’abito nuovo di Cristo, mediante una conversione effettiva e duratura, finiamo per trasformare la nostra chiamata in occasione di condanna.
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Non può mai esserci Misericordia, senza conversione!