Il Regno di Dio, questa categoria dinamica presente nei Vangeli per indicare non un luogo fisico, bensì una dimensione esistenziale e spirituale, ossia la signoria di Dio sul mondo, sull’uomo e sulla storia, nel Vangelo di questa domenica viene paragonato ad un grande banchetto nuziale, che un re offre per suo figlio. Dio, nelle vesti del re, chiama gli invitati, che però non vogliono prendervi parte. Senza perdersi d’animo, manda altri servi, per dire che tutto è pronto, ma nessuno sembra curarsene, perché ci sono altri impegni ed interessi più impellenti. Alcuni, poi, non solo mostrano indifferenza di fronte a questo invito, ma addirittura esprimono ostilità verso gli stessi servi del re, insultandoli e uccidendoli.
Il mistero della chiamata discreta di Dio a riconoscere la sua presenza e la sua signoria, ha sempre trovato nella storia risposte favorevoli, ma anche indifferenza e rifiuto, se non addirittura – come ci insegna la storia della Chiesa antica e recente – ostilità e persino persecuzione verso coloro che ce la ricordano. Tanti hanno altre priorità al posto di Dio, tanti percepiscono questa chiamata ed anche chi ad essa rimanda, come un fastidio e una minaccia alla loro serenità. Nonostante questa realtà amara, soprattutto per chi volontariamente si sottrae alla gioia dell’incontro, Dio non si dà per vinto, anzi, il rifiuto dei primi eletti (è evidente il richiamo al rifiuto di Israele), muove il suo cuore ad aprirsi a tutta l’umanità (la chiamata del Vangelo rivolta ai pagani).
La bontà e il desiderio di Dio di rendere l’umanità partecipe del suo Regno non sono frenate dai rifiuti umani. Questa apertura di cuore che Dio ha ci fa comprendere come il suo amore gratuito voglia raggiungere proprio tutti, buoni e cattivi, senza alcuna discriminazione di lingua, razza, popolo, cultura e genere. La bontà o cattiveria morale, infatti, non interessa al Signore quando chiama! Egli chiama tutti all’amicizia con Lui, senza esclusione. Sono proprio la sua chiamata e la sua amicizia a rendere gli uomini migliori! “Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mt 9, 13), ha ricordato Lui stesso di fronte alle critiche sollevategli dai farisei, mentre sedeva a mensa con pubblicani e peccatori. Una volta accettato il suo invito, però, divenuti suoi commensali, non possiamo più rimanere nei vecchi panni. Si esige l’abito nuziale, ossia quello di una vita nuova e rinnovata, trasfigurata dalla sua presenza.
Non è sufficiente sedere alla sua mensa ed entrare al suo banchetto per essere ascritti tra gli eletti. Ogni giorno si tratta di rinnovare la candidezza del nostro abito battesimale, per essere degni di stare con Lui. La chiamata, seppure ben accolta, non è sufficiente a raggiungere la Vita, senza la perseveranza della fede e delle buone opere. Ben ce lo ricorda San Paolo: “La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie. Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo e non lasciatevi prendere dai desideri della carne” (Rm 13, 12-14).