La pace e la gioia del Risorto
La comunità dei discepoli, la sera della domenica di Pasqua, viene descritta dall’evangelista Giovanni come chiusa e paralizzata dalla paura. Sono barricati nel cenacolo per timore dei giudei. Gesù Risorto e vivente irrompe inaspettatamente in mezzo a loro, con il suo corpo glorioso che non ha più alcuna limitazione spazio-temporale. Egli, il Principe della pace, reca il dono messianico della vera pace, avendo ormai pienamente realizzato la sua opera di salvezza. Secondo il linguaggio dei profeti, infatti, la pace era l’insieme di tutti i doni del Messia atteso. La sua opera è compiuta, la vera pace può raggiungere ormai la Chiesa e il mondo. Per rivelare pienamente la sua identità, Gesù mostra le mani e il fianco che portano le ferite gloriose. Non c’è alcun dubbio, il Crocifisso, proprio Lui, è risorto! La presenza di Gesù in mezzo ai suoi trasforma il timore nella gioia più autentica. Il verbo usato per indicare la gioia dei discepoli è lo stesso che troviamo nel saluto dell’angelo a Maria, quando le reca l’annuncio della nascita del Figlio di Dio (cfr. Lc 1, 28).
È lo stesso utilizzato anche per descrivere l’esperienza dei Magi che dopo lunga ricerca vedono di un nuovo la stella luminosa sulla casa del Bambino Gesù (Cfr. Mt 2, 10). È la vera gioia che il mondo non può dare, ma che solo Cristo può concedere all’umanità, quando rimane in Lui: “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15, 11). L’incontro con Gesù, insieme alla gioia, reca ai discepoli l’annuncio della loro missione. Egli è l’Inviato del Padre e come Lui anche i suoi, attraverso il dono dello Spirito Santo, sono mandati a diffondere la gioia e la pace di Gesù, con l’autorità del perdono. Essi sono chiamati a continuare l’opera della nuova creazione della Misericordia, che trasforma i cuori degli uomini, facendoli risorgere dalla morte del peccato alla vita della grazia, quando la loro libertà accetta questa offerta gratuita.
La vicenda di Tommaso descritta nella seconda parte del brano di questa domenica illumina la dinamica del nostro incontro personale con il Risorto. Come per Didimo, il cui soprannome significa “gemello”, quasi ad indicarne un gemello di ciascuno di noi, la fede nel Risorto non è sempre qualcosa di scontato, se non avviene un incontro personale con Lui, permettendo di realizzare il passaggio dall’incredulità alla fede. Sentir parlare di Gesù, conoscerlo per sentito dire, infatti, non è la stessa cosa che incontrarlo. Sembra di rivedere la dinamica della fede di Giobbe, che matura attraverso il crogiuolo della prova: “Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono” (Gb 42, 5).
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La ricerca sincera e forse un po’ goffa di Tommaso, però, giunge alla pace quando lui stesso diviene oggetto di questa Misericordia del Risorto, che decide di manifestarsi personalmente anche a lui nella Chiesa. La professione di fede dell’Apostolo che riconosce il Risorto come suo Signore e suo Dio, frutto maturo di questa ricerca coronata dall’incontro, lo rende veramente beato! La stessa felicità è promessa a chi, come noi, pur non vedendo fisicamente il Cristo con gli occhi di carne, lo crederà Risorto e vivente nei secoli a venire.