La felicità ultima e perfetta
Una festa di luce, quella della solennità di Tutti i Santi, un’immersione nel mistero dell’amore di Dio e del progetto che Egli ha per ciascuno di noi, suoi figli, di renderci partecipi della sua vita divina, per sempre, senza limiti. Risuonano nella nostra mente e nel nostro cuore le parole dell’Apostolo Paolo, che rivolgendosi ai cristiani di Colosse, così afferma: “ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce” (Col 1,12).
In virtù del battesimo, che ci ha inseriti in Cristo, noi abbiamo ricevuto questa capacità di essere nella luce. La chiamata alla santità non è per pochi, questione di eroi, di persone con capacità speciali, ma è per tutti, il frutto maturo di un’adesione piena, umile e senza riserve all’amore misericordioso del Padre. Oggi, in questa solennità, siamo invitati a guardare alla nostra sorte eterna, a quella vita senza fine che Dio, in Cristo, è venuto a donarci.
Essa si identifica con quella che San Tommaso d’Aquino definisce beatitudo, ossia felicità ultima e perfetta, coincidente con “la visione dell’essenza divina” (Summa Theologiae, I-II, q. 3, art. 8). La pagina evangelica delle cosiddette beatitudini, la magna charta del cristiano, centrale nell’insegnamento di Gesù, rappresenta un po’ la via che siamo chiamati a percorrere per arrivare a quella meta.
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La felicità ultima e perfetta, infatti, deve necessariamente prepararsi su questa Terra, riconoscendo che Dio è presente e ci chiama a vivere in modo pieno. Se poniamo Lui al centro, come protagonista, ogni contrarietà, ambiguità o limite di questo mondo, diviene un’occasione per essere veramente felici. Sembra un po’ strano come si possa trovare la felicità in quelli che per il mondo sono considerati piuttosto anti-valori.
Come si può essere felici nella povertà dello spirito, se il mondo non fa altro che perseguire la ricchezza materiale e il culto della personalità? Come si può sperimentare la gioia vera nella consolazione, in una cultura che spinge alla ricerca sfrenata di emozioni rapide e a buon mercato? Come si può desiderare la mitezza, lì dove se non si impara ad opprimere l’altro, specialmente il debole, sin da bambini, non si è nessuno?
Come si può essere felici nella giustizia, in un mondo dove spesso la menzogna, il profitto e l’interesse personale hanno la meglio e dove spesso, volendo essere giusti, si viene persino perseguitati? Come si può trovare gioia nella misericordia, se la cifra di questa Terra sembra essere sempre la vendetta? Come si può essere felici nella purezza del cuore, in un mondo che fa dell’abuso della sensualità il suo idolo?
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Come si può essere operatori di pace, dove si spendono energie e capitali per trovare mezzi di distruzione dell’altro? La risposta è una: bisogna imparare a guardare in alto, verso di Lui. Soltanto con questo sguardo che supera l’orizzonte terreno, il nostro desiderio si porta alle “cose di lassù” e tutto quello che è umano e contraddittorio, diviene la nostra scala per il cielo.