Il sommo desiderio della santità
Una volta in un incontro di catechesi con i bambini, quelli che dicono sempre la verità, feci la domanda ad uno di loro: “Tu vuoi diventare santo?”. La risposta spontanea e inaspettata del bambino fu: “No”. Io rimasi imbarazzato e senza parole! Non sapevo che dire! Ero pieno di zelo, volevo spiegare cosa significasse essere santi e quella risposta mi spiazzò. Mi sono sempre portato dentro quella esperienza e oggi, a distanza di anni, nella Solennità di Tutti i Santi torno a rifletterci. Quel bambino rispondeva così perché non sapeva ancora cosa fosse la santità e perché forse la coglieva nella sua mente come qualcosa di triste e non desiderabile!
Se accade questo è perché, probabilmente, la nostra testimonianza cristiana di adulti non risveglia nei più piccoli il vero desiderio della santità! Si dice con un brocardo latino “Nemo dat quod non habet”. Se noi stessi, come adulti, non possediamo il desiderio della santità, come pretendiamo di donarlo ai nostri figli? Troppe volte l’idea di santità che teniamo dentro di noi e forse comunichiamo, è qualcosa di troppo austero, triste, statico, lontano dalla vita reale. L’idea evangelica di santità, invece, è tutt’altro che “piagnona”.
Non a caso il Vangelo che la Chiesa ci dona per questa solennità è caratterizzato dalla pagina delle Beatitudini, un inno alla vera felicità. Ogni beatitudine proposta infatti si apre con la parola greca macharioi, che significa proprio “beati, felici”. Questa felicità, non confondibile con la gioia effimera di questo mondo, che appassisce come il fiore del campo, è l’eredità della vita eterna, che non conosce tramonto. Essa si può già iniziare a sperimentare qui sulla Terra, quando Dio è al centro della nostra vita, dei nostri desideri, del nostro essere e agire. Dio non toglie nulla di ciò che è umano, ma lo trasfigura, lo eleva e lo conduce a perfezione.
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Chi sulla terra inizia già a sperimentare seriamente la compagnia di Dio, a vivere l’amicizia con Lui, desidera che questa amicizia gioiosa e appagante non si concluda con l’esperienza terrena, ma continui per sempre. Le beatitudini evangeliche sono le autostrade della santità: ciascuna differente per esperienze, tempi, modi, luoghi, culture, lingue e vocazioni, ma tutte orientate verso la stessa méta, quella della felicità, corrispondente alla vita in Dio.
La condizione dei beati, che oggi siamo invitati a meditare, è l’oggetto del nostro desiderio di cristiani. Essa non appartiene solo ai santi canonizzati, quelli sulla cui condizione eterna la Chiesa si è espressa chiaramente e che ci presenta come modelli ed intercessori, ma anche a tutti gli innocenti, gli sconosciuti, i testimoni della fede noti solo a Dio, che hanno raggiunto la pienezza della vita cristiana. Quando scopriamo dentro noi stessi il desiderio di essere lì con loro, ci collochiamo in un nuovo orizzonte di senso.
Tutte le sfide quotidiane, le prove, le difficoltà, vengono santamente relativizzate ed in esse possiamo riconoscere la permissione di Dio, che ci dona altrettanti gradini per percorrere con gioia il nostro cammino di perfezione nella carità. San Francesco d’Assisi osava ripetere: “Tanto è il bene che mi aspetto, che ogni pena m’è diletto”. Tra i santi, ciascuno di noi ha degli amici speciali, i nostri patroni, il santo di cui portiamo il nome, quelle figure a cui siamo particolarmente legati, perché ci rivediamo nella loro esperienza, o perché ne apprezziamo la spiritualità e la sapienza.
La giornata di oggi sia l’occasione per invocarli in modo speciale, perché possano intercedere per noi presso il Padre, affinché si risvegli il nostro desiderio di eternità.