Don Luciano Labanca – Commento al Vangelo del 1 Marzo 2020

La prima domenica di Quaresima presenta sempre il racconto delle tentazioni di Gesù, secondo le tre redazioni offerte dai Vangeli sinottici. Quest’anno leggiamo la versione del Vangelo secondo Matteo, indirizzato specialmente ai cristiani di origine giudaica, con la tipica insistenza sul rapporto fra Gesù e Israele.

L’incipit dell’episodio ci offre il contesto: dopo il suo battesimo al Giordano, il Protagonista della storia della salvezza, che è lo Spirito, conduce Gesù nel deserto, luogo silenzioso e inospitale, ma anche luogo di grazia dove poter rimanere soli con il Solo. La motivazione è chiaramente espressa: Gesù deve essere tentato dal diavolo. La tentazione, dunque, non proviene da Dio, come ci ricorda anche San Giacomo nella sua lettera, quando afferma: “Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male” (Gc 1,13 ). Egli, però, permette che questo avvenga, per un preciso fine, quello di far maturare la fede dei propri figli e accrescerne la virtù.

Gesù, il Figlio di Dio, avendo assunto tutta intera la natura umana, eccetto il peccato, si sottomette anche a questa esperienza tipicamente umana, perchè si realizzi anche in lui la lotta fra lo spirito e la carne, eredità comune di ogni figlio di Adamo. Leggendo con attenzione la Scrittura e lasciandosi illuminare dall’insegnamento plurisecolare della Chiesa, si coglie che il centro dell’annuncio è sempre dato dalla potenza salvatrice di Cristo, che con la sua Pasqua ha vinto il male e la morte. Questa vittoria, tuttavia, deve pienamente realizzarsi nelle singole anime fedeli, che sono chiamate all’adesione libera e volontaria a questo piano di Dio.

In questa grande luce pasquale, dunque, si comprende anche la presenza del male, che non è solo una realtà simbolica, ma ha tratti personali nella figura dello spirito del male, satana (ossia l’avversario), detto anche diavolo (ossia il divisore) o accusatore, colui che distoglie gli uomini dalla via di Dio. In un documento pubblicato nel 1975, intitolato “Fede cristiana e demonologia“, la Congregazione per la Dottrina della Fede, soffermandosi sull’azione del maligno, affermava: “Certamente, la sua azione sull’uomo è interiore; ma è impossibile vedere nella sua figura soltanto una personificazione del peccato e della tentazione […] Il diavolo esercita sui peccatori solo una influenza morale, nella misura in cui ciascuno acconsente alla sua ispirazione: liberamente essi ne eseguono i «desideri» e fanno «la sua opera». Soltanto in questo senso e in questa misura satana è il loro «padre», perché tra lui e la coscienza della persona umana resta sempre la distanza spirituale che separa la «menzogna» diabolica dal consenso che ad essa si può dare o negare, allo stesso modo che tra Cristo e noi esiste sempre la distanza tra la «verità» che egli rivela e propone, e la fede con la quale viene accolta”.

La tentazione, dunque, come si evince dai Vangeli, toccò anche l’esperienza di Gesù, proprio all’inizio del suo ministero pubblico, come anche in altri momenti decisivi della sua opera, in particolare nel momento della Passione e della Croce. Il racconto matteano declina tre specifiche forme di tentazione che Gesù subì e che sono anche presenti nella vita di ciascuno di noi. Sant’Agostino ci ricorda: “Precisamente Cristo fu tentato dal diavolo, ma in Cristo eri tentato anche tu. Perché Cristo prese da te la sua carne, ma da sé la tua salvezza, da te la morte, da sé la tua vita, da te l’umiliazione, da sé la tua gloria, dunque prese da te la sua tentazione, da sé la tua vittoria” (Commento ai Salmi, 60, 3).

E proprio all’inizio del suo ministero, dopo un lungo digiuno di 40 giorni e 40 notti, nella debolezza della fame, Gesù subisce la prima tentazione: quella di manifestare la sua divinità trasformando le pietre in pane. É l’assolutizzazione dei bisogni e delle necessità terrene, l’illusione di ricercare soluzioni facili, pensando che la felicità e la realizzazione dell’uomo sia nelle cose di questo mondo, vincibile soltanto ponendo in atto il primato della volontà del Padre, unum necessarium nella vita dell’uomo. La seconda tentazione, poi, in cui Gesù viene condotto sul pinnacolo del tempio di Gerusalemme, il punto più alto della città santa, quasi una cupola di San Pietro per gli Ebrei, vede il maligno, “fine biblista”, invitare il Signore attraverso un uso strumentale e mistificato della Scrittura, a scegliere la via del successo e della  vana spettacolarità.

Quanto è presente anche nella nostra vita la tentazione di affermarci e gonfiarci, suscitando apprezzamento e riconoscimenti dagli uomini, piuttosto che da Dio! Infine, la terza tentazione, quella del potere terreno. Il maligno tenta Colui che non era “venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10, 45), a percorrere la via dell’idolatria del potere oppressivo e dominativo sugli altri, che toglie la vera signoria a Dio e il primato al suo Regno.

L’unica arma che Gesù  sguaina per vincere le tentazioni, è la spada penetrante della sua Parola! Come per lui, anche per noi, il segreto della vittoria sta in questa fiducia totale nella Parola, che può aiutarci a discernere i sentimenti e i segreti del cuore, permettendoci di discernere ciò che è ispirazione divina per il bene e ciò che è solo illusione e tentazione diabolica per la nostra rovina e autodistruzione.


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