Nel deserto sperimentiamo la nostra debolezza: affidiamoci alla misericordia del Padre che ci ama
La quaresima è un viaggio di penitenza, austero e serio, importante e bello, che punta a condurci fuori dal nostro ego; è il tempo in cui si praticano il digiuno, la preghiera, l’elemosina. È un “tempo forte” perché è nel deserto che l’uomo può sperimentare la tentazione, ossia conoscere e dare un nome a ciò che ha il potere di farlo fallire nella vita, di fargli mancare il bersaglio, di rendere infeconda l’esistenza fallendo nell’amore. Queste tre tentazioni racchiudono tutto ciò che ha il potere di distruggere l’uomo nella sua poliedrica bellezza.
C’è però una Provvidenza che conduce al deserto e dunque, anche in questo momento così triste per gli eventi geopolitici in atto, rimaniamo radicati nella certezza che è Dio il Signore della storia e ogni evento, per quanto tragico, può essere illuminato dalla sua luce, così come è avvenuto sulla croce.
La tentazione dell’uomo è fare invece il contrario, cioè non cogliere la paternità di Dio nel creato e nella storia, distorcendo il reale secondo il proprio ego. Prendere le pietre e pretendere che divengano pane significa pretendere che le cose debbano diventare mio cibo, mie compensazioni, anche se non sono commestibili.
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Il passo successivo è vedere tutta la terra e pensarla in funzione della propria personalità, del proprio potere, della propria affermazione.Fino a considerare Dio addirittura come qualcuno da poter comandare a bacchetta, buttandosi dal pinnacolo del tempio e pretendere che mandi i suoi angeli. È il viaggio contrario alla salvezza, il percorso che parte dalle cose e arriva all’ego, da Dio all’io e non viceversa.
In queste tre tentazioni è esposta la corruzione del senso delle cose. Siccome abbiamo fame, comandiamo che le cose cambino di identità e vengano traghettate alla riva della nostra utilità. Guardare i regni della terra secondo il possesso, averli a propria disposizione, indica che le cose mi devono servire, devo esserne io il padrone. E ancora: il pinnacolo del tempio rappresenta il vertice della religione che, una volta raggiunto, può farci credere di non sottostare più alle leggi; per cui, se ci gettiamo giù, non ci sfracelliamo.
È il ritenersi al di sopra della legge con la presunzione di possedere l’impunità di violarla. Dio diventa il gregario rispetto alle nostre idee e deve comportarsi secondo i nostri ritmi. Queste cose non portano da nessuna parte, perché non si vive solamente delle proprie soddisfazioni: «non di solo pane vivrà l’uomo». Abbiamo bisogno di non rompere il rapporto con Dio: se non comprendiamo il senso e la nobiltà delle cose, è inutile sentirsi soddisfatti, perché alla fine perdiamo noi stessi.
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Nel potere della seconda tentazione in cui sembra che l’uomo sia plenipotenziario, si deve invece prostrare in adorazione del maligno. In realtà, mentre uno pensa di aver potere, è asservito a qualcosa di più grosso: più si sale nel potere, più si è asserviti a chi gestisce il potere del mondo. Più si sale nel potere e più compromessi si devono accettare, compromettendosi. È in questo meccanismo che il principe di questo mondo pone la sua trappola. Così il fatto di asservire Dio, ce lo fa perdere: un Dio che sta sotto di noi non è più Dio; se Dio obbedisce a noi, non può più salvarci; se lo mettiamo alla prova, Egli non ci salverà più.
Insomma, queste sono le trappole della vita umana. Le cose, le relazioni, le idee, possono diventare nostri padroni e noi, nell’illusione di avere di più, siamo in realtà depauperati e cadiamo nel vuoto della nostra solitudine.
Commento di don Luciano Condina
Fonte – Arcidiocesi di Vercelli