Don Luciano Condina – Commento al Vangelo del 30 Gennaio 2022

641

Lasciamoci sorprendere dall’opera di Dio

Nazareth è il luogo in cui Gesù è cresciuto e ha vissuto, al ritorno dalla fuga in Egitto fino ai trent’anni; per questo motivo, pur essendo nato a Betlemme, era anche detto il Nazareno. Purtroppo, però, il suo paese non è stato benevolo dopo l’inizio della sua missione: è proprio lì che rischia la vita con i suoi concittadini che vogliono buttarlo giù da un precipizio. E si trattava di persone cresciute vicino a lui, che lo ricordavano giovane carpentiere; che certamente, oltre alla sua bontà, conoscevano quella dei genitori, e forse anche quella dei suoi nonni. 

Nazareth rappresenta la categoria dell’incredulità, della saccenza, della violenza che scaturisce dalla presunzione di sapere come Dio debba fare, del fastidio generato da chi crede di inscatolare l’opera di Dio in quattro schemi umani limitati. È l’esatto opposto del modus operandi che Egli ha: sempre nuovo, originale, sorprendente, fuori dagli schemi.

In quest’ottica, vanno collocate le citazioni che Gesù fa al popolo riguardo a chi ricevette miracolo da Dio; infatti, la vedova beneficata al tempo di Elia era una pagana di Sarèpta di Sidòne; anche riguardo ai lebbrosi  al tempo del profeta Eliseo, di essi venne purificato solo Naamàn il Siro. Dio non ha beneficato i padroni di casa, ma i forestieri, gli stranieri. È proprio la categoria dello straniero di fronte a Dio che è necessario focalizzare in questo testo: per essere beneficati è necessario essere stranieri, ossia pellegrini costantemente in viaggio verso la meta, mai fermi credendo di essere arrivati. Molto spesso sono proprio i residenti di un posto a non conoscerne le bellezze, quando invece i turisti di passaggio si premurano di non perdere i tesori che custodisce.

Così è per noi: vogliamo stare tranquilli, rasserenati dalle quattro, povere sicurezze a cui ci avvinghiamo per non avere problemi, e Dio eventualmente torna utile solo se fa qualche miracolo; «quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao fallo anche qui, nella tua patria» (Lc 4,23) è ciò che vogliono i nazareni da Gesù. Ad essi non interessa la realizzazione del brano di Isaia che si compie davanti ai loro occhi per ammissione di Gesù, non interessa capire come Dio opera e salva l’umanità. Sono loro che pretendono di dire a Dio come fare il suo mestiere ed esigere che Egli si comporti come dicono.

Finché saremo noi a determinare come Dio debba agire, non potremo mai fare esperienza di lui; anzi, sarà sempre estremamente frustrante e irritante constatare che il reale non si comporta secondo i nostri schemi e ci comporteremo esattamente come i nazareni, che pretendono di giudicare e condannare Dio buttandolo dal precipizio per averci urtato con le sue argomentazioni incomprensibili.

Quelli che credono di aver capito tutto, di sapere già tutto non possono essere salvati se non sono in grado di accettare l’opera salvifica di Dio, che non rispetta la povertà del dinamismo umano. «Per andare dove non sai devi passare per dove non sai», scrive san Giovanni della Croce nella Salita del monte Carmelo.

Restiamo forestieri di fronte a ciò che Dio compie, manteniamo la capacità di sorprenderci, custodiamo lo stupore generato in chi ha occhi per contemplare l’opera di Dio. L’atteggiamento umile è ciò che permetterà allo Spirito Santo di svelarci il senso delle Scritture che in Gesù trovarono compimento a Cafarnao in quel giorno, così come lo possono trovare oggi nelle nostre celebrazioni eucaristiche.


Commento di don Luciano Condina

Fonte – Arcidiocesi di Vercelli