Gesù ci invita a svolgere la sua missione
In questo vangelo Gesù espone le condizioni fondamentali – e spiazzanti – per svolgere la sua missione. Designa altri 72 discepoli e li invia due a due davanti a sé (la corrispondenza con Mosè in Nm 11,24-26 è lampante).
La “designazione” non è una semplice elezione, ma è svelare la loro vocazione fin lì latente. Il discernimento vocazionale è lo svelamento di un segreto che manifesta la verità di ciò che uno ha dentro, di ciò che Dio ha preparato per lui. Noi non siamo chiamati a seguire un modello: dobbiamo sbocciare, manifestare ciò che Dio ci ha posto nel cuore da sempre.
Come Giovanni Battista ha preceduto il Messia, così i discepoli precederanno Gesù. Li invia due a due perché lo stile dell’annuncio è la comunione; e li manda «come agnelli in mezzo a lupi» (10,3), immagine di chi è chiamato ad agire fuori contesto, per giunta minaccioso. L’intento è offrire, non conquistare. Chi compie una missione che viene da Dio si deve scordare di essere aiutato dal contesto: non è quello che lo aiuta bensì il mandante. La sua missione va in porto perché obbedisce a chi lo manda. E ciò porta a essere segno di contraddizione, per cui probabilmente sarà anche rifiutato.
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A chi viene come un agnello si può dire di no, allo Spirito Santo si può dire no, perché la sua predicazione sarà sempre propositiva e mai impositiva.
Gesù invita poi a non portare «né borsa, né sacca, né sandali» (Lc 10,4), cose considerate da tutti necessarie. Non per Gesù. La borsa serve per il denaro; la sacca invece è la bisaccia per il pane; i sandali sono di riserva rispetto a quelli calzati. L’inviato non avrà altro denaro che quello trovato grazie alla Provvidenza per la generosità di chi lo accoglie; non avrà altro pane se non quello che gli sarà dato perché troverà gratitudine; non avrà altre strade, piani alternativi alla missione (i sandali di riserva simboleggiano i piani “b”, le vie d’uscita, le scappatoie, i “sì, ma non si sa mai…”). Non avrà altre sicurezze, altri appoggi, altre cose che siano prioritarie rispetto alla missione, che diventa l’assoluto: perché è la strada pensata da Dio affinché avvenga la santificazione dell’inviato.
Infine l’invito a non salutare nessuno lungo la via: sembrerebbe quasi maleducazione. Per capire dobbiamo intendere cosa sono i saluti per i popoli orientali, i cosiddetti “salamelecchi” – storpiatura di as-salaam-Alaikum, che significa “la pace sia con te”. I saluti nell’Oriente sono cose complicate che prendono molto tempo, in cui si parla della famiglia, si assaggiano le specialità del luogo e via discorrendo. Se uno sta camminando e si ferma a salutare, essendo questo un rituale di relazione complicato e articolato, non giungerà a destinazione in tempo. Gesù dà un’indicazione ad astenersi dallo spendersi in cose secondarie e non perdere energie in questi rivoli laterali.
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Questa indicazione è di importanza fondamentale perché ci ricorda di puntare dritti alla meta, senza dispersioni, tenendo sempre Dio al primo posto.
E infine, “scuotersi la polvere dai piedi” nelle città in cui non si è accolti: è un invito a non lasciarsi inquinare dalle negatività, dalle lordure, dalle derisioni di chi ridicolizza il messaggio, per non perdere la bellezza originaria di chi ci invia, e per ricordarci che i nostri nomi sono scritti nei cieli.
Così Cristo ha salvato il mondo, sulla croce: derubato di tutto, assetato e spoglio di ogni veste, senza altra prospettiva che la morte davanti a sé. La volontà del Padre cui consegnarsi.
Commento di don Luciano Condina
Fonte – Arcidiocesi di Vercelli