Entriamo nell’Avvento del nuovo anno liturgico B in cui si celebra il vangelo di Marco: tempo di preparazione e attesa sobria, attenta e gioiosa di nostro Signore Gesù Cristo.
La parola principale del vangelo di questa domenica è l’invito a «vegliare». Per ben quattro volte in questo breve passo Gesù invita a “fare attenzione, vegliare, vigilare, essere pronti”, generando quasi ansia nel lettore per l’imminenza di qualcosa di grande che traspare da queste parole: il ritorno del padrone di casa.
Stare svegli o risvegliarsi da stati di torpore pregressi comporta l’aprire gli occhi: molto spesso i nostri occhi sono chiusi, perché distratti su noi stessi per guardare ombre irreali a cui diamo parvenza di realtà; ombre che sono tutto ciò che non riguarda il cammino dello spirito verso la casa del Padre. Il distratto non si accorge di cosa gli passi sotto il naso e non può cogliere né gustare le grandi opportunità che la vita propone momento per momento.
«La vita è adesso» cantava Claudio Baglioni; ma perché la vita sia “adesso” è necessaria la piena lucidità esistenziale e non può esserci lucidità senza sobrietà; da qui l’invito al digiuno tipico dei tempi forti come l’Avvento e la Quaresima.
È interessante che nel testo greco il termine “vegliate” (in Mc 13,33) sia indicato con agrupneite, parola composta da agros (campo) e upnìon (sonnellino): il verbo indica qualcuno che dorme in un campo di sonno leggero, come i pastori nei campi per sorvegliare i loro beni. Vegliare quindi non è stare sempre desti e non dormire mai, ma è uno stato di attenzione – presente anche durante il riposo – volto a proteggere i beni importanti. Un po’ come una mamma con un neonato: pur dormendo, si sveglia al minimo vagito del piccolo.
C’è quindi un tesoro da sorvegliare, che solo noi possiamo tenere d’occhio e nessuno può vigilare al posto nostro, perché nessuno può difendere la propria preziosità meglio di se stesso. Spetta dunque a ognuno di noi valorizzare il peso specifico della propria esistenza con un atteggiamento consono alla preziosità da conservare: il Signore ci propone questo atteggiamento di veglia, che non è tensione ansiosa, bensì uno “stare sempre sul pezzo”.
Spesso il nemico della vita cristiana è l’accontentarsi, il tirare a campare che attirano a sé una mediocrità esistenziale e spirituale a tratti deprimente, capace di spegnere la lucidità necessaria per cogliere Cristo che viene in un affamato, in un malato, in un carcerato… come dicevamo domenica scorsa.
Il padrone di casa della parabola dà potere ai servi (cfr. Mc 13,34): riceviamo un potere da esercitare, e abbiamo dunque tutti qualcosa da fare. Tante volte ci chiediamo “cosa devo fare?”; ma non è la domanda giusta. L’atteggiamento corretto è chiedersi “cosa posso fare?”; ed è tanto, anzi tantissimo per ognuno di noi, secondo il nostro stato e la nostra condizione, perché abbiamo ricevuto un potere da Dio. Al portiere poi è dato il compito di vegliare: abbiamo delle porte nella nostra esistenza che sono i cinque sensi e vigilare significa non fare entrare nulla di tossico e nocivo. A volte la distruzione di una vita comincia con l’aprire una porta per lasciar entrare un pensiero, qualcosa che non ci porta da nessuna parte e non serve a niente.
La veglia a cui ci invita Gesù è una tensione attiva, spigliata, gioiosa, volta a cogliere la bellezza presente in ogni attimo dell’esistenza. Allora stiamo pronti a non farci scappare quell’onda costante di provvidenza, di amore, di tenerezza che da Dio ci viene nella storia.
Commento di don Luciano Condina
Fonte – Arcidiocesi di Vercelli