Don Luciano Condina – Commento al Vangelo del 28 Febbraio 2021

La trasfigurazione di Gesù è una tappa obbligata nel cammino di Quaresima: è la manifestazione della mèta a cui Dio chiama l’uomo, nella sua bellezza, pienezza e splendore.

«È bello per noi essere qui» (Mc 9,5): è il desiderio che ci accompagna lungo tutta l’esistenza, quello di stare nel bello e non lasciarlo più. Questa bellezza si sperimenta stando di fronte ad un volto, al volto de «il più bello dei figli dell’uomo» (Sal 44,3). Da qui scaturisce la giusta motivazione a intraprendere un cammino di purificazione; la motivazione è fondamentale nel perseguire i grandi obiettivi nella vita.

Quaresima è sperimentare che anche nella croce è bello stare con Dio, come ha sperimentato il ladrone ricevendo il paradiso; di fatto, stare con il Signore è l’unica cosa che conta.

Trasfigurazione è trasformazione: etimologicamente è “andare oltre la forma”, oltre l’apparenza ed entrare nella verità.

Arrivati in cima al monte, invece di guardare il panorama verso il basso – come è normale fare – i discepoli alzano gli occhi ancora più in alto, verso quel volto trasfigurato, quel vestito che «nessun lavandaio potrebbe sulla terra rendere così bianco»  (Mc 9,3): è il soprannaturale che cerchiamo nel mondo e che esso non può darci; è l’andare oltre le opere umane alla ricerca di quel bello – che ci ostiniamo a cercare nelle cose di quaggiù – di quella luce che scaturisce solo dalla presenza di Dio.

Guardare il volto di Dio così com’è ci rende simili a Lui (cfr 1Gv 3,2) e la maledizione di Adamo che, nascosto, non poteva più vedere il volto di Dio, nella trasfigurazione di Gesù finalmente viene annullata. E quindi dal monte, con la prospettiva della fede, noi possiamo fissare lo sguardo sulle cose invisibili, per contemplare, di fatto, non solo la trasfigurazione di Gesù, ma la nostra!

Contemplare Dio nella sua verità porta a un radicale cambiamento di tutto l’essere, perché il tipo di immagine del Signore che la persona porta nel cuore determina la luminosità di ogni esistenza. “Dimmi chi è il tuo Dio e ti dirò chi sei” dovrebbe recitare l’adagio.

Mosè ed Elia – simboleggianti la legge e i profeti – che discutono con Gesù rappresentano il dito che indica e conduce a Lui, compimento ultimo di tutte le scritture.

«Ascoltatelo!» (Mc 3,9) sollecita il Padre: l’invito è passare dalla contemplazione all’ascolto. Se la visione è estetica ed esteriore, la parola è senso e richiede accoglienza. La parola che entra in noi, nell’adesione si trasforma in obbedienza, di cui ob audire è l’etimologia.

È dunque il tempo di sfruttare i luoghi di trasfigurazione in cui possiamo stare con Gesù, contemplarlo e ascoltarlo, fidandoci ciecamente di Lui, come fa Abramo invitato a sacrificare il figlio Isacco. Per i cananei era normale offrire in sacrificio agli dei Baal e Moloch il figlio primogenito; e ciò non è assurdo letto in chiave contemporanea, poiché le idolatrie odierne chiedono i figli alle persone: per uno scatto di carriera si rinuncia a un figlio; per la paura di non portare avanti la vita come la si è programmata si abortisce. Il denaro, il successo, chiedono insaziabilmente figli: non nati, non generati, trascurati a causa della sequela di falsi dei.

Abramo scenderà con Isacco dal monte Moria – sul quale secoli dopo verrà costruito il tempio – conoscendo che il Dio vero non ha nulla da chiedere e tutto da dare.

Sia questa certezza l’intima compagna di viaggio della nostra Quaresima.

Commento di don Luciano Condina

Fonte – Arcidiocesi di Vercelli


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