Noi siamo la “perla” di Cristo
Le tre brevi parabole del vangelo di questa domenica – il tesoro nascosto, il mercante di perle e la rete gettata in mare – concludono il capitolo 13° di Matteo, definito appunto il discorso delle parabole di Gesù. La parabola, benché si presenti come una storiella, una semplice favoletta per bambini, ha il grande vantaggio di poter contenere in modo semplice e conciso i paradigmi esistenziali della vita spirituale: nella pedagogia infatti, come nella vita, un esempio vale più di mille parole.
La prima parabola è la storia di un uomo che trova un tesoro in un campo e sa che per poterlo ottenere deve spendere tutto quello che ha. È bello sottolineare il fatto che «pieno di gioia» vende tutti i suoi averi e compra quel campo (Mt 13,44). La gioia: l’araba fenice che tutti dicono esistere ma nessuno trova realmente, per citare don Alfonso, il filosofo dell’opera Così fan tutte di Mozart. Ebbene, questa gioia che sembra perennemente sfuggire lungo il cammino della vita, siamo qui a testimoniare che si può ottenere nel momento in cui ci si gioca totalmente nell’amore; e in Cristo l’amore è totale. Spendere tutti i beni è un po’ come morire: amare qualcuno è morire a se stessi per donarsi all’altro. E questa gioia, che fa scendere la pace nel cuore, in fondo noi la raggiungiamo quando decidiamo per chi morire: trovare la propria vocazione significa aver deciso per chi morire d’amore. Nel momento in cui nasce un figlio, di fatto, il cuore comincia a battere in funzione del nuovo nato, e la vita comincia a spendersi in funzione della sua: questo dona molta gioia. Rinunciare, ossia giocarsi la vita per Cristo, significa aver abbracciato qualcosa di molto più grande di quanto il mondo possa offrire. «Ecco, noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito; che ne avremo dunque?», chiederà Pietro a Gesù (Mt 19,27); la risposta del Maestro spiegherà che non hanno lasciato tutto, bensì hanno trovato tutto.
Spesso, guardando a noi consacrati, la gente si sofferma su ciò a cui abbiamo rinunciato, senza considerare ciò che invece abbiamo abbracciato. Ogni rinuncia cristiana non è nient’altro che l’acquisizione di qualcosa di molto più bello e non esiste alcuna rinuncia che non sia in vista di qualcosa di molto più costruttivo, molto più ricco. Questa è la logica che sta alla base di ogni digiuno di Avvento e di Quaresima.
Lo stesso vale per il mercante che, nella perla preziosa, trova il punto, la stella polare della propria esistenza.
Seguono nella terza parabola gli angeli che separano i pesci buoni dai cattivi: in continuità con quella del grano e della zizzania di domenica scorsa, anche qui Gesù sottolinea che non è compito degli uomini ma degli angeli discernere il bene dal male, ossia i buoni dai cattivi; ciò ci riporta a Genesi 2, in cui l’unico albero di cui non si possono mangiare i frutti è quello della conoscenza del bene e del male.
La vita cristiana è una serie di acquisizioni di grandezza, di bellezza, a fronte del liberarsi le mani da cose molto più piccole. La perla preziosa è la vita nuova, la vita trasformata; è il saper prendere le cose nuove e rivalorizzare quelle antiche, così come si legge alla fine del passo evangelico di questa domenica.
La prospettiva può essere però rovesciata: il mercante è anche Gesù Cristo, il quale trova la perla preziosa che siamo noi; per noi dà la vita e per noi lascia tutto ciò che ha, perché siamo il suo tesoro e ritiene che valga la pena dare tutto il suo sangue per amore di ognuno di noi.
Noi siamo la perla preziosa di Gesù Cristo: lui ha lasciato tutto e pieno di gioia ci ha conquistati a prezzo del suo sangue.
Commento di don Luciano Condina
Fonte – Arcidiocesi di Vercelli