Permettiamo al Padre di essere con noi e la vita potrà diventare una grande avventura
Ogni miracolo contenuto nella Scrittura contiene un paradigma fondamentale sulla guarigione spirituale; il cieco Bartimeo, che riceve nuovamente la vista, ci offre le tappe spirituali che determinano la rinascita, la ripartenza dopo essere sprofondati nel buio, nella disperazione, nel lasciarsi andare a causa della mancanza di senso.
Ci troviamo a Gerico, teatro di tanti episodi biblici; in questo brano la città è importante perché molto vicina al luogo del battesimo di Gesù, segno di rinascita per eccellenza. Gerico è anche prossimo al mar Morto, il posto più al di sotto del livello marino del mondo: simboleggia dunque il fondo, il punto più basso che a volte la vita ci fa sperimentare, nel quale è molto grande il pericolo di non avere più voglia di risollevarsi.
Bartimeo «sedeva lungo la strada a mendicare» (Mc 10,46). È in strada, nel luogo del cammino, attento a ciò che gli capita intorno; è in vigile attesa, necessaria per cogliere la grazia di Dio che passa e che, troppo spesso, ci lasciamo sfuggire per disattenzione. Mendica perché non è autosufficiente: per accogliere la grazia bisogna avere fame, non confidare solo su se stessi, sulle proprie risorse fallaci e limitate; il vangelo si annunzia ai poveri – definiti beati – perché la loro fame è il motore che permette di accogliere il regno di Dio. Bartimeo non può vedere Gesù, ma può sentirlo: per accorgersi di Dio è necessario usare questo senso, perché è attraverso una parola – il Verbo – che spesso Dio penetra nel cuore dell’uomo.
Il cieco «cominciò a gridare» (Mc 10,47). La salvezza, la guarigione cominciano da un grido; la preghiera è un grido, anzi è grido. «Amo il Signore perché ascolta il grido della mia preghiera» (Sal 116). Ed è un grido l’invocazione iniziale della liturgia delle ore: «O Dio, vieni a salvarmi». Nel grido risiede la passione, motore che rende efficace la preghiera.
«Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». È la preghiera del cuore del “pellegrino russo” dei racconti, in cui la pietà è relazione filiale cercata presso Dio tramite suo figlio: nel figlio di Davide, che è un titolo messianico, riconosce di poter essere salvato. Non un dio qualunque, uno dei tanti tra le molte tradizioni religiose – e ciò serva a dissipare ogni tentazione sempre attuale di sincretismo – ma l’inviato di Dio per eccellenza, in quanto suo figlio: Gesù Cristo.
«Chiamatelo!», risponde Gesù (Mc 10,49): si è salvati da una chiamata tramite qualcuno inviato da Dio. Impariamo a scorgere questi angeli, questi inviati da Dio che puntualmente si avvicinano per portarci la salvezza di Dio. «Coraggio, alzati»: è l’attitudine necessaria perché si possa essere salvati. «Rabbunì, (fa’) che io veda di nuovo», chiede il cieco: vedere come un tempo. Le nostalgie che ci portiamo appresso sono la spensieratezza e la pace che gustavamo da bambini, quando magari non avevamo molto, ma avevamo tutto. È memoria di una bellezza ancora conservata dell’infanzia. Spesso si vive con la speranza, perennemente delusa, che quella spensieratezza possa tornare. Non è questione di problemi che non si avevano, ma dell’attitudine interiore, spontanea dei bimbi: di essi, infatti, è il regno dei cieli.
Gesù ha il potere, di donarci quella pace, quella spensieratezza, che ci permettono di non dubitare che Dio è Padre, che tutto è orientato al nostro bene, anche se non abbiamo i dati per poterlo capire pienamente.
Commento di don Luciano Condina
Fonte – Arcidiocesi di Vercelli