L’invito che Gesù fa ai discepoli di passare all’altra riva, in vista della «grande tempesta di vento» (4,37) che si verificherà di lì a poco (Mc 4,37), risulta senza dubbio sornione, cioè che – da dizionario – «sotto la maschera di una placida o bonaria indifferenza, nasconde un’astuzia vigile e sottile».
Passare all’altra riva è una categoria biblica fondamentale e rappresenta un nuovo modo di essere, di vivere; rappresenta la vita nuova, eterna, il regno dell’altra riva, ossia il regno dei cieli. Per arrivarci è necessario attraversare la tempesta – a cui potremmo attribuire una funzione di vera e propria iniziazione – che i discepoli percepiscono come l’evento che li farà soccombere: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?» (Mc 4,38) esclamano. Ma il sonno pesante di Gesù, anche se la barca rischia di affondare, attesta che non c’è mai da temere con Lui a bordo.
La tempesta simboleggia tutti i fatti avversi che noi temiamo e racchiude in sé tutte le paure che attanagliano il genere umano, concrete o infondate. Le paure concrete sono quelle che sopraggiungono di fronte agli eventi effettivamente drammatici, come malattie, disgrazie, lutti, avversità, grandi delusioni; le paure infondate, invece, sono alimentate ad arte dal maligno e ci impediscono di codificare la realtà correttamente; dunque ci impediscono di percepire la grazia di Dio che opera costantemente nella nostra vita.
Gesù non ci fa evitare le tempeste, bensì ci fa sperimentare – essere cristiani è un’esperienza! – che, con lui sulla barca, non c’è maltempo che possa interrompere il nostro viaggio verso l’altra riva. E per capire che Gesù è Signore e superiore a ogni bufera, bisogna passare attraverso di essa.
«E congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca» (Mc 4,35). È molto curioso questo dettaglio indicato dall’evangelista: «così com’era». Ogni tempesta può essere superata per giungere all’altra riva a patto di far salire Gesù con noi sulla barca, “così com’è”.
Viviamo in un’epoca in cui siamo bersagliati dal concetto di riforme perennemente necessarie e la Chiesa stessa è oggetto di critica, perché “si deve aggiornare” al grido di “il medioevo è finito!” e cose simili. È opinione comune che essa debba rivedere e “riformare” il deposito della fede perché “i tempi sono cambiati”. Ebbene, Gesù va preso “così com’è”, senza mutare di una virgola ciò che ha detto e che ha lasciato, soprattutto le parti più dure riguardo alle quali persino gli apostoli rimasero perplessi.
La Chiesa non ha il possesso – nel senso che non è padrona – di ciò che Gesù le ha consegnato, bensì è custode e amministratrice di ciò che da lui ha ricevuto, ed è Gesù stesso a ribadire questo concetto quando afferma di essere venuto a compiere e non a cambiare la legge (cfr. Mt 5,17). Dunque la Chiesa non ha il potere di mutare l’insegnamento di Cristo.
Gesù è «pietra d’inciampo» (1Pt 2,7-8): il che significa che, se inciampi in essa, quello che cade sei tu e non è la pietra a spostarsi da dove è piantata saldamente.
In questi decenni la Chiesa stessa sta vivendo la tentazione di togliere il radicalismo al vangelo affinché il mondo possa considerarlo più fruibile, più masticabile. Eppure il fascino di Cristo alberga proprio in questo radicalismo, che è il porto sicuro per giungere all’altra riva, per approdare alla santità.
Qualunque sia la tempesta che dovremo affrontare o che stiamo sperimentando, ricordiamo sempre che Gesù, dorma o vegli, è con noi ed è l’unica persona in grado di farci superare le bufere trasformandoci in creature nuove.
Commento di don Luciano Condina
Fonte – Arcidiocesi di Vercelli