Don Luciano Condina – Commento al Vangelo del 20 Febbraio 2022

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Possiamo amare solo se entriamo in relazione con Cristo, fonte della vita

L’invito di Gesù ad amare i nemici presenta la radicale utopia del vangelo, poiché amare i nemici non è alla portata dell’umano. Se amare è dare la vita per qualcuno – un coniuge lo fa per l’altro, un genitore lo fa per un figlio – ecco, amare un nemico, ossia dare la vita per un nemico, va oltre l’umano. E se anche il prossimo non fosse nemico ma solo uno sconosciuto, il discorso non cambierebbe.

La stragrande maggioranza delle persone afferma: «Io sono buono e caro, però…»; ecco, se esiste un però significa che non sei «buono e caro» perché anche nella mafia c’è un’etica simile. L’amore evangelico, quello che ci porta a dare la vita per un nemico, non si può esercitare semplicemente con la propria volontà. Per amare così Gesù ci invita a innestarci in Lui, perché solo da Lui possiamo ricevere lo slancio eroico che porta a compiere un atto simile. Pensiamo a san Massimiliano Kolbe, che si offrì in sacrificio ad Auschwitz per salvare un padre di famiglia: solo se vivi innestato in Cristo puoi amare come Egli ha amato, perché non sei più tu ad amare ma Cristo che vive in te, come attesta san Paolo.

Il vangelo di questa domenica ci ricorda per l’ennesima volta che il cristianesimo non è un’etica, una filosofia, un sistema di valori, ma è la relazione con una Persona che è fonte della vita, dell’amore e della santità.

La vita spirituale è simile a un camaleonte che assume il colore di ciò che tocca; esso non può assumerlo con la forza di volontà – ossia seguendo una morale – ma deve toccare quel determinato colore per cambiare la sua pelle. Così è con l’amore di Cristo, che ci rende abili di amare anche il nemico: questo ha il colore dell’oro e, per poterlo esercitare e falo diventare di quella tinta, dobbiamo toccare Cristo: nella preghiera, nei sacramenti, nelle persone che lo hanno incontrato e nella carità.

La necessità dell’esercizio del tatto è chiarissima nell’episodio dell’emorrois- sa, che ottiene la grazia nel momento in cui tocca il mantello di Gesù; oppure nell’episodio del cieco che gli viene portato «affinché lo toccasse» (Mc 8,22).

Di Gesù bisogna fare esperienza, che ci permette di innestarci nella vita cristiana, ci porta non a “fare” i cristiani, ma a “esserlo”; a seguire non il vangelo, ma Cristo, perché il vangelo è il mezzo che indica “chi” seguire.

Possiamo ricevere questo amore solo dall’alto: «Rivestiti di potenza dall’alto», dice Gesù ai discepoli in Lc 24,49. E sarà questa potenza, che scaturisce dall’unione con Cristo, a permetterci di vivere la “regola d’oro”, espressa dal fare agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te, espressa in varie applicazioni lungo tutto il vangelo di questa domenica.

Il modello a cui tendere è compiere le opere del Padre: «Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro» (Lc 6,36). È l’invito a vivere lo straordinario perché non possiamo accettare di vivere una vita regolare, semplice e… banale. Come si può annunciare il vangelo al mondo intero se non annunciando qualcosa di straordinario? Come si può risvegliare l’amore nel cuore delle persone se non parlando loro della nobiltà e grandezza della vita, che non è il programmato e prevedibile, ma è la sorpresa?

Allora contempliamo e tocchiamo Cristo: da questo deriverà mitezza e la capacità di fare atti straordinari d’amore, perché senza di Lui non possiamo far nulla.


Commento di don Luciano Condina

Fonte – Arcidiocesi di Vercelli