Don Luciano Condina – Commento al Vangelo del 19 Dicembre 2021

554

Fidiamoci di Dio e cantiamo anche noi il nostro Magnificat

Nella visita di Maria a Elisabetta possiamo contemplare il gioioso dinamismo che scaturisce dalla fede nascente dalla Parola di Dio accolta. Il testo va collegato all’annunciazione letta nella festa dell’Immacolata Concezione. «Quei giorni» (Lc 1,39), infatti, sono quelli successivi all’incontro con l’arcangelo Gabriele, che metterà Maria in movimento.

«Maria si alzò»: dopo aver accolto l’annuncio dell’angelo pronunciando il suo «eccomi», Maria si mette subito in viaggio «verso la regione montuosa». Oltre all’indicazione geografica, questo dettaglio indica il movimento verso ciò che sta in alto: verso il cielo. La fede mette le ali.

Quell’“alzarsi” in greco è espresso con il medesimo verbo usato per la risurrezione, sorgere, indicando che l’adesione a Dio porta azione pronta e conseguente alla vita nuova ricevuta. È indicato anche il modo: «Andò in fretta». In greco il termine indica zelo, qualcosa che si fa con cura, con attenzione, con voglia particolare. Non è una fretta mossa dall’ansia, piuttosto è la cura particolare di un’azione che Maria vuole fare bene e tutto il suo essere emana qualcosa di importante. La Madonna accoglie la verità di una promessa fatta da Dio. Chi accoglie questa promessa si alza e parte, con un dinamismo gioioso.

A volte la vita cristiana è vissuta in modo estremamente riduttivo come il non far nulla di male: è ben altro! Maria ha invece la caratteristica del mettersi in moto con la gioia nel cuore.

Perché c’è molta gioia e allegria in questo testo che descrive l’incontro tra due donne felici, ricolme di vita, una molto giovane, l’altra ormai anziana. Una donna incinta che accoglie la gravidanza è rivestita di gioia soprannaturale, al di là di ciò che la cultura di oggi voglia negare, ossia di vedere in una gravidanza un problema e in un bambino che nasce un nemico. Invece, quanta gioia quando la vita di Dio entra in noi!

Maria saluta Elisabetta: è la rottura della estraneità, l’inizio della relazione. Dal saluto dell’arcangelo Gabriele a Maria nell’annunciazione al saluto di Maria a Elisabetta: è il saluto di Dio che si propaga; l’amore di Dio si diffonde per estendersi fino a far sussultare il bimbo di Elisabetta, la quale anch’essa, solo a questo punto, diviene colma di Spirito.

Non esiste fede senza condivisione: abbiamo creduto perché qualcuno ha creduto prima di noi; qualcuno ha creduto e ci ha salutato, ci ha annunciato il vangelo e il nostro cuore è esultato. La gioia e lo Spirito Santo che l’ha appena colmata, porta Elisabetta ad esclamare «Benedetta tu e il tuo grembo» (Lc 1,42), così come preghiamo nell’Ave Maria. È lo Spirito che fa sorgere la preghiera dal profondo dell’essere: è l’adorazione «in Spirito e verità» narrata da Gesù alla samaritana.

Maria ha ricevuto dall’angelo delle istruzioni e sente la necessità di condividerle con l’unica donna che la può capire: quando viviamo qualcosa di bello abbiamo bisogno di condividerlo, non possiamo tenerlo solo per noi.

Il cuore della visita di Maria a Elisabetta sarà il canto del Magnificat, che proseguirà nel primo capitolo del vangelo di Luca, in cui l’anima e lo spirito di Maria contempleranno le grandi cose che ha fatto in lei il Signore.

Natale è alle porte: cantiamo anche noi il nostro Magnificat, ricordiamo le grandi cose che il Signore ha fatto e crediamo a quelle che farà in noi, se gliene daremo la possibilità. Questa fede è la prerogativa della gioia, quella autentica che nessuno potrà mai toglierci.


Commento di don Luciano Condina

Fonte – Arcidiocesi di Vercelli