Don Luciano Condina – Commento al Vangelo del 17 Aprile 2022

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Pasqua: il passaggio dalla stasi alla missione

«Perché cercate tra i morti Colui che è vivo?» (Lc 24,5), chiedono i due uomini in abito sfolgorante alle donne recatesi al sepolcro. C’è dunque un mondo dei morti e un mondo dei vivi: nel primo “i morti seppelliscono i morti”, ossia ci si occupa solo di ciò che non ha proiezione nell’eternità. È la vita biologica, animale, della sussistenza nel tirare a campare in modo dignitoso “finché c’è la salute”.

Nel mondo dei morti si punta su una sana costituzione, mentre nel mondo dei vivi si sperimenta la salvezza. Un uomo in buona salute non è affatto salvo, in quanto può usarla molto male, mentre un uomo in pessima salute può sperimentare la salvezza piena nel saper amare in virtù dell’amore manifestato da Cristo. Quanti santi nel dover affrontare una malattia, anche terminale, hanno illuminato tutto ciò che li circondava con un amore soprannaturale la cui fonte era la relazione con Dio. Benché stessero per morire, erano più vivi degli altri.

Ecco allora che la salvezza è quella pienezza del cuore che il mondo dei morti non può dare perché non la conosce e che solo da Dio, attraverso suo Figlio, può essere donata agli uomini.

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Pasqua – che in ebraico significa “passaggio” – è transitare dalla vita  da “non-vivi” a un’esistenza da creature nuove, in cui non ci sono più tane e possedimenti da difendere per cui morire, ma c’è un Risorto da seguire, che traccia la strada sicura verso la sola meta che l’uomo possa chiamare “casa”: il cielo. È la realtà di cui parla Gesù a Nicodemo nel dialogo notturno, spiegandogli che è necessario rinascere una seconda volta per entrare nella nuova vita. È la vita in cui accogliamo la paternità di Dio, che non è imposta all’uomo ma offerta.

«A quanti l’hanno accolto ha dato il potere di essere figli di Dio» leggiamo nel prologo del vangelo di Giovanni (1,12): accogliere il Figlio è ciò che ci permette di passare dalla morte alla vita.

Quando tuo padre è Dio, cos’hai da temere?

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L’uomo è perennemente alla ricerca della vita,  delle cose più belle che gli diano felicità e pienezza, ma non trova in molti posti queste cose. Il peccato, infatti è cercare la vita lì dove non c’è. Dobbiamo allora smettere di cercare il risorto fra i morti e non dobbiamo più cercare in mezzo alle cose morte la vita che non esiste.

Dove sarà il risorto? I due angeli alle donne parlano della missione di Cristo e ricordano la Galilea. Ognuno di noi esce dalla sua condizione sepolcrale iniziando a seguire Gesù per mezzo della propria missione, la quale costituisce l’uomo in creatura nuova e lo colloca dentro il compimento del disegno del Padre.

Ognuno di noi ha nel piano stabilito da Dio sulla sua vita la traccia, il sentiero da seguire per arrivare alla resurrezione e negli atti una missione da compiere. Se pensiamo al matrimonio come ad un sistema per appagarci, lo riduciamo a una miseria; ma quando lo riscopriamo come missione conferitaci da Dio, finalmente ne capiamo le tribolazioni e la loro funzionalità nella finalità di amore e di costruzione: è la missione che ci rende risorti.

Pasqua è il passaggio dalla stasi alla missione; è pensare finalmente che siamo venuti su questa terra per un servizio da compiere. Il più grande augurio che possiamo fare è di vivere una Pasqua di risurrezione, che non è semplicemente passare da uno stato d’animo sgradevole a uno gradevole, ma è entrare ognuno nella propria avventura.

Ciascuno di noi in questo mondo ha qualcosa da fare ed egli solo lo può fare. È lì la propria resurrezione. È lì la via della santità.


Commento di don Luciano Condina

Fonte – Arcidiocesi di Vercelli