«Lo voglio, sii sanato!» (Mc 1,41). Con queste parole Gesù guarisce il lebbroso che lo supplica in ginocchio; e in queste parole possiamo chiaramente scorgere quale sia la volontà di Dio per noi.
Quante volte ci siamo posti quella domanda, pensando quanto sembri essere dura o incomprensibile. Nel vangelo di questa domenica abbiamo una risposta chiara e concisa su quale sia l’unico desiderio del Padre per noi, attraverso Gesù: la nostra salvezza, ossia la vita, nella sua pienezza, dunque priva di ogni compromesso con la morte. Il compromesso è ciò che rende impuro il puro: sono le ambiguità, le doppiezze, gli egoismi, le meschinità, i sotterfugi; è tutto quello che impedisce la vera comunione con chi ci sta accanto e ci fa sentire profondamente soli interiormente. Infatti la lebbra, nelle Scritture, è il simbolo della solitudine.
Per uscirne, il lebbroso proclama la sua pubblica professione di fede: «se vuoi, puoi purificarmi» (Mc 1,40). Questo atto manifesto è necessario, non perché Dio abbia bisogno di essere pregato – non fa il prezioso – ma perché è fondamentale esternare, a noi stessi per primi, se realmente desideriamo essere purificati. Non è affatto scontato voler guarire dai propri mali, intesi qui come i propri vizi, perché è doloroso passare da una vita di schiavitù illusoriamente piacevole a una vita libera e matura, adulta e responsabile. È certamente capitato a tutti di fare un favore, anche grande, a qualcuno – pensando fosse cosa gradita – e sentirsi rispondere che nessuno aveva chiesto nulla.
Dio è delicato, non prevede alcun atto coercitivo, compresa la guarigione; ci manifesta chiaramente quale sia il suo desiderio di salvezza per noi, e noi dobbiamo manifestare il desiderio di ricevere quel dono.
Ma non è sufficiente riceverlo, è necessario custodirlo; a ciò si riferisce l’indicazione di Gesù al lebbroso appena guarito, cioè di presentarsi al sacerdote – nel rispetto della legge – e di non dire niente a nessuno: queste parole contengono le istruzioni che permetteranno all’uomo di conservare il dono ricevuto e custodirlo, ossia di rimanere in salute.
La salvezza vera non è togliere solo il male, ma è entrare in uno stile di vita sano – come abbiamo detto anche domenica scorsa in riferimento alla suocera di Simone – Se anche venisse estirpato un cancro al polmone a un fumatore, costui non sarebbe comunque sano finché continua a perseverare nel fumo.
La salvezza è questione di relazione con Cristo attiva nel tempo, che mira a custodire con atteggiamento vigile sui tanti doni che Dio ci consegna perché portino frutto.
È inoltre interessante notare che la disobbedienza del lebbroso causerà a Gesù l’impossibilità di entrare nelle città, a causa della grande fama derivata dalla diffusione della notizia; osserviamo, quindi, il ribaltamento della situazione: all’inizio era il lebbroso a dover stare nel deserto e Gesù nelle città; a guarigione avvenuta, il lebbroso può tornare e reintegrarsi nella comunità mentre il Signore è costretto a tenersi lontano, portando quindi su di sé le conseguenze della malattia di quell’uomo. Fin da subito Gesù si mostra veramente l’agnello di Dio che prende su di sé i peccati del mondo, affinché si compia «ogni giustizia» (cfr. Mt 3,15).
Possa accompagnarci la certezza che, attraverso ogni evento della nostra esistenza, il Signore voglia solo concederci salvezza e vita, anche quando sembra manifestarsi l’esatto contrario. E noi lasciamoci toccare da Lui per essere purificati come il lebbroso.
Commento di don Luciano Condina
Fonte – Arcidiocesi di Vercelli