Don Luciano Condina – Commento al Vangelo del 11 Settembre 2022

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Dio può trasformare il peccatore in un santo

Il lungo vangelo di questa domenica presenta tre parabole: la pecora e la moneta perduta e il figliol prodigo. Ci concentreremo sulle prime due, le uniche presenti nella forma breve del lezionario.

Gesù racconta queste parabole perché accusato dai farisei di accogliere i peccatori e mangiare con loro, ossia di non riprovare il loro peccato. Ricordiamo che i pubblicani erano ebrei considerati peccatori pubblici, in quanto riscuotevano le tasse per conto di Roma, e da veri aguzzini tormentavano il popolo con richieste di denaro ingiuste. Se qualche lettore avesse ricevuto una cartella esattoriale errata su soldi non dovuti all’erario, può capire l’odio nutrito verso costoro. E Matteo l’evangelista era un pubblicano.

Per uscire da una mentalità giustizialista ed entrare in quella relazione che Dio, in quanto padre, vuole stabilire con il peccatore –  il quale è sempre un figlio – Gesù propone le parabole.

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Il pastore e la donna cercano la pecora e la dracma perduta: perché sanno che ci sono e non hanno pace finché non le trovano.

Così Dio è insistente e misericordioso con noi, perché vede che cosa è latente, solo momentaneamente; vede cosa ci siamo persi di noi stessi: il nostro essere suoi figli. Quante volte si guarda una persona e la si disprezza non vedendoci niente di buono. Dio, invece, la guarda in un’altra maniera perché vede altre potenzialità e può trarre da un peccatore un santo, da un violento un misericordioso; da chi ha fatto un errore madornale, terribile, indicibile, può ricavare una persona piena di mitezza, tenerezza, sapienza e forse saprà aiutare qualcun altro. La storia della santità è colma di casi simili: san Camillo de Lellis, ad esempio.

Cosa cerca Dio in noi? Quello che non sappiamo esserci: una moneta, il valore nascosto che Egli va cercando. Ecco perché Gesù accoglie i pubblicani e i peccatori: perché sa che in loro esiste una potenzialità: una persona che ha sbagliato è solo una persona che ha sbagliato, non una persona sbagliata; anche chi ha fatto le cose più indicibili di questo mondo – forse proprio per questo – dopo aver toccato il fondo, può prendere lo slancio, per fare un salto nella sublimità.

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Dio come Padre ci guarda con occhi di innamorato. Il difetto principale degli innamorati è che hanno le fette di prosciutto sugli occhi e non riescono a cogliere i difetti della persona amata, ma solo i pregi o le belle potenzialità. Pensiamo ai disegnini dei bambini piccoli, oggettivamente composti di forme quasi incomprensibili: eppure per i loro genitori quegli scarabocchi sono capolavori assoluti, che osservano con gli occhi lucidi per la commozione; tutti noi, almeno una volta, abbiamo dovuto fingere la medesima ammirazione per non deludere la gioia dei genitori.

Dio rileva in noi la sua immagine stampata nel profondo dell’essere, magari sepolta sotto stupidaggini, smarrita nelle più scoscese parti del nostro essere. Ciò che conta per Lui è che siamo suoi figli.

Quante volte ci siamo rassegnati su noi stessi, dandoci per persi, rassegnandoci a vizi, bruttezze, perché abbiamo sentenziato che tanto in noi non c’è bellezza… Quella bellezza esiste in ogni persona e si può sempre ritrovare.

Con la parola di questa domenica Dio ci cerca: facciamoci trovare. Se una pecora bela può darsi che il pastore la trovi prima: mettiamoci a belare, chiediamo aiuto, crediamo nel pastore che ci sta cercando, consapevoli che Dio è nostro padre.


Commento di don Luciano Condina

Fonte – Arcidiocesi di Vercelli