Don Luciano Condina – Commento al Vangelo del 10 Ottobre 2021

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Edoardo Agnelli, erede designato dall’avvocato Giovanni al vertice della FIAT, potrebbe essere un’icona contemporanea del giovane ricco. Totalmente disinteressato riguardo agli interessi economici di famiglia girava il mondo alla ricerca disperata di un senso più profondo dell’esistenza; purtroppo la sua ricerca infruttuosa terminò in modo drammatico gettandosi da un viadotto.

«Quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita (eterna)?» (Mc 8,36): doveva essere questa la domanda che assillava il povero Edoardo. E il desiderio di questa vita eterna è ciò che spinge platealmente ai piedi di Gesù questo tizio, del quale non sappiamo se fosse giovane o meno. La vita eterna non è solo la vita dopo la morte, ma è anche la vita piena, ricca, sazia di pace nel cuore; è quella vita che sembra collocare la felicità sempre un passo avanti al nostro e che pare non essere raggiungibile, perché la nostra sete esistenziale non si sazia mai del tutto.

«Cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?» (Mc10,17): fare per avere, è questa la logica di chi è ricco. E al riguardo costui è a posto, perché i comandamenti del “fare” – dal quarto all’ottavo – li osserva fedelmente e supera brillantemente lo scrutinio che Gesù gli fa: l’esame di morale è superato. Ma manca un pezzo, il più importante; da qui in poi comincia l’opera di salvezza che Gesù mette in atto con ogni uomo di buona volontà.

Gesù “lo amò” (Mc 10,21): Dio ama per primo, ed è questo amore che mette in moto l’opera di salvezza; da qui nasce la forza di farsi salvare. «Vendi ciò che hai»: è l’abbandono del proprio mondo, non solo materiale, ma anche concettuale, mentale; è l’abbandono del proprio modo di pensare secondo il mondo.

«Vieni e seguimi»: la morale non basta, è necessaria la relazione. Passare dall’osservanza dei comandamenti al diventare discepolo. Passare dal fare qualcosa all’essere qualcuno. Non è un caso che i primi tre comandamenti riguardino proprio la relazione con Dio e siano racchiusi in questo «vieni e seguimi».

Essere discepolo significa abbandonare i propri progetti, la propria idea di realizzazione, la propria idea di matrimonio, la propria idea di consacrazione e lasciare che Dio nella quotidianità ci mostri il cammino. Significa fidarsi della meta di Colui che fa strada, unico a conoscere la via certa per il cielo. Certamente si passerà dalla croce, perché Gesù su questa ci sale; essa però non è la meta bensì è la porta per la resurrezione, a differenza delle croci vissute senza Cristo, che sono binari morti.


Commento di don Luciano Condina

Fonte – Arcidiocesi di Vercelli