Per la “VI Domenica della Parola di Dio” e Terza Domenica del Tempo Ordinario del 26/01/2025, dalla Torre Cavallara di Catanzaro Lido, Don Leonardo Diaco ci introduce alla liturgia del giorno con il vangelo di Luca (Lc 1,1-4;4,14-21).
Trascrizione, non rivista, del video:
Davanti alla Torre Cavallara di Catanzaro Lido, che serviva per difendere il territorio dall’incursione dei Saraceni e nella parte interiore c’erano dei cavalli e delle persone addette ad avvisare i rischi, così abbiamo bisogno sempre di stare allerta di fronte alle situazioni della vita per essere pronti a combattere nell’agone nostra esperienza credente e di vita quotidiana.
Stiamo davanti alla terza Domenica del Tempo Ordinario che è stata così dedicata da papa Francesco alla domenica della parola, alla centralità della parola di Dio nella vita del credente. Così come in un rapporto d’amore se non ci si frequenta, quell’amore non può crescere, maturare eh fecondare, così il rapporto con la parola di Dio deve essere un rapporto sempre più maturo, più adulto, più frequente e più costante ed è in questa logica che questa domenica è nata proprio per riappropriarci di uno dei doni grandi che il Signore ci ha fatto: la sua parola.
La scrittura rimane un libro. Fin quando non la ascoltiamo lo Shemà Israel, Ascolta Israele quello che il Signore ha fatto, fa e Farà nella tua vita. E l’Israele di oggi che siamo noi, siamo proprio vocati, chiamati a cogliere ciò che Dio continua a compiere dentro la nostra vita. La parola è: in principio il Signore dice e ciò che lui dice avviene.
Non si tratta nella scrittura e della scrittura di un trattato di teologia ma di una storia, di un’avventura, di una avvenimento, di un fatto che, facendolo nostro, continua attraverso di noi, si perpetua attraverso di noi. Quella parola che in Gesù si è fatta carne continua eh questo dinamismo anche dentro la nostra vicenda. Non agisce in modo magico, non è un amuleto, ma è dotata di una energia, energia irresistibile che ha come obiettivo sì anche di consolare, ma soprattutto di liberare. Gesù è venuto a portare una libertà profonda, radicale, interiore, quella libertà che permette a chiunque di di realizzare ciò a cui è chiamato ad essere e cioè la sua vocazione, la sua diciamo responsabilità nella storia, nel tempo e nei compiti che vengono affidati.
Quel Teofilo a cui Luca si rivolge nell’esordio del suo Vangelo sì è sicuramente un personaggio importante che gli avrà chiesto di mettere in ordine tutto ciò che riguarda la figura di Gesù e degli Apostoli. Visto che Luca non è un diretto conoscitore di Gesù e probabilmente di generazione successiva, ha sentito dire di queste cose e il suo compito è quello proprio di mettere ordine, attraverso testimonianze, attraverso degli approfondimenti seri, delle ricerche approfondite, di tutto ciò che riguarda la vicenda di Gesù di Nazaret e tutto lo fa proprio con un obiettivo, che è quello di permettere di camminare, di procedere nel nel nella propria liberazione personale. Il senso di liberazione D’Or in ebraico è proprio impedire, togliere i lacci a chi vuole camminare speditamente.
Per cui l’approccio che noi dovremmo avere davanti alla parola di Dio è proprio quello di lasciarci sciogliere dai legacci che ci impediscono di camminare in maniera spedita. La proclamazione della parola di Dio, il ritrovarci attorno alla parola è sì per il singolo discepolo, ma è per una comunità e intorno alla comunità intorno alla parola che la comunità si riscopre tale, si diventa popolo attraverso questa parola di liberazione. La consapevolezza di essere chiamati in questo cammino di riscatto che il Signore ha compiuto una volta per sempre e che vuole continuare a realizzare dentro di noi, riunisce la chiesa, consola il credente ma opera un giudizio sulla propria vita. E quindi è lasciar risuonare dentro di sé il senso profondo della scrittura e mettersi in quella storia di Gesù per proseguirne, attraverso la propria no, nella continuazione del mondo e dare corpo e dare senso e dare presenza e dare attualizzazione a quella parola eterna che ci raggiunge.
Per cui in questa domenica diciamo ci sono tre direttrici principali: intanto fare delle ricerche accurate, cioè non fermarsi a una lettura superficiale della parola di Dio. Nessuno di noi vorrebbe negli incontri e nelle relazioni essere considerato solo nella sua apparenza, nella sua superficialità esteriore, ma vuole colto nella sua profondità. Così l’approccio alla parola di Dio deve essere profondo, intenso, accurato, accompagnati dallo spirito. La seconda è che Gesù è venuto così come entrando nella Sinagoga di di Nazaret fa prende il rotolo del libro e Isaia, quello spirito che si poggia su di lui per portare il lieto annunzio ai poveri. Ecco questa povertà non è solo certamente di natura economica, ma è quella povertà di chi si scopre limitato, mancante, mendicante come ha fatto Gesù venendo nella storia, cioè mendicante di qualcosa di più profondo, di non bastare a se stesso, di non essere autosufficiente, che in fondo è il peccato originale e questa povertà è la condizione necessaria per entrare dentro l’accoglienza della parola, così come la Vergine Maria ha fatto, offrendo il suo cuore prima e il suo grembo poi al cielo.
E infine oggi questa parola si è compiuta. E l’oggi di Dio che nel Vangelo di eh di Luca ritorna, Gesù, secondo il suo solito, entra nella Sinagoga, ma quella parola solita, continua, costante che riascoltiamo continuamente, si compia nella quotidianità, nella concretezza del nostro oggi. E l’oggi che compie la storia di un passato che ritorna non per diventare una prigione ma per diventare un memoriale che si attualizza attraverso l’ascolto di questo dono che il Signore ci ha fatto. Quindi è un compito soprattutto di risvegliarci dal del rimetterci in piedi.
La prima lettura che ascolteremo domenica è di Neemia. Neemia ed Esdra, governatore e sacerdote di Israele, un secolo dopo l’esilio, si rendono conto della ancora delle difficoltà che ci stanno ad essere un popolo che cammina nel solco del Signore. Per ricomporre questo popolo c’è bisogno di mettere dentro lui e quindi vi è una convocazione, un’assemblea in cui vengono convocati tutti: donne, bambini, anziani, uomini sulla piazza e al centro ci sta questo grande ambone, questo pulpito su cui viene proclamata la parola, la Torà, con brani distinti, spiegandone il senso. È un po’ il l’origine dell’omelia: cioè ascoltare la parola di Dio per indicare una strada, una via. E tutti stanno in piedi con l’atteggiamento di chi è pronto per rimettersi il cammino, ricevono la benedizione del Signore e si dà la benedizione e la ringraziamento al Signore, tutti rispondono con quell’amen che è la l’assenso, il sì. E quando si ascolta quella parola c’è un senso di di di di pentimento, di battersi il petto, mentre Esdra invita tutti a far festa perché la la gioia del Signore è la nostra forza, è nella sua gioia che noi possiamo trovare un orientamento alla nostra esistenza e alla nostra vita.
Allora la liberazione che la parola di Dio, attraverso la parola di Dio, il Signore vuole portarci è una liberazione totale per ogni uomo, per tutto l’uomo, tutte le dimensioni della propria esistenza. La libertà non c’è regalata da altri, non può essere imposta da altri. La libertà è un dono che il Signore ci ha guadagnato a caro prezzo e che chiede anche a noi, nel nostro vivere quotidiano, nel nostro testimoniale della fede, questo prezzo di esserci, di impegnarci, di sacrificare, di dare valore alla nostra vita, al nostro tempo, al nostro oggi, perché possa diventare anche l’oggi di Dio.
Buona terza Domenica del Tempo Ordinario. Buona domenica della parola a tutti e che la scrittura possa diventare veramente uno scrigno nella quale, dalla quale ricevere ogni giorno i doni preziosi per la nostra vita.