Il commento alle letture di domenica 24 Novembre 2019 a cura di Don Joseph Ndoum.
Il Regno è in mezzo a noi
Siamo giunti all’ultima domenica dell’anno liturgico, Anno C. Domenica prossima comincia un nuovo anno. Intanto l’anno si chiude con una bellissima festa in onore di nostro Signore: la festa di Gesù Cristo re dell’universo. L’espressione “Cristo re” risulta dell’accostamento di due titoli che in realtà indicano la stessa cosa. Cristo è la traduzione greca del termine ebraico “Massiah”, che designa il re, in quanto eletto e consacrato col gesto simbolico dell’unzione. Nella prospettiva veterotestamentaria questo titolo è riservato al discendente davidico che realizza il regno di Dio di giustizia e di pace. La primitiva comunità cristiana riconosce e proclama Cristo e Signore, Gesù, il discendente della stirpe di Davide, scelto da Dio per realizzare il suo regno e il dono della salvezza a favore di tutti gli esseri umani.
Si tratta essenzialmente della signoria, del dominio, della sovranità di Dio sul mondo. Il regno di Dio non è dunque un luogo, una situazione o un gruppo di persone, ma è il fatto che Dio regna e le potenze che gli si oppongono (peccato, morte, satana) sono vinte.
Alla figura ideale del re Davide rimanda la prima lettura dal secondo libro di Samuele. Davide dimostra di essere non solo un valido comandante, ma anche un abile uomo politico che riesce ad ottenere il consenso dei suoi oppositori. Su quest’immagine idealizzata di Davide si innesta la speranza di un re che istaurerà il regno di Dio. Davide divenne quindi “figura” del messia atteso dal popolo eletto: figura del Signore Gesù.
Di questa regalità di Gesù, Figlio di Dio, parla anche il brano ai Colossesi. San Paolo ricorda che il Padre ha liberato gli uomini dal potere delle tenebre, e li ha introdotti nel regno del suo Figlio diletto. Questa liberazione o redenzione cristiana consiste nella remissione dei peccati. Quindi Paolo traccia un grandioso ritratto in cui si celebra il primato di Cristo nella creazione e nella redenzione. Egli come primogenito è il mediatore di tutte le cose e di tutti gli esseri viventi. Perciò tutta la realtà creata ha la sua coerenza e consistenza nel Figlio, che è l’icona del Padre.
Il brano evangelico ci parla del compagno di patibolo di Gesù, ossia del “buon ladrone”. Le ultime parole di questo malfattore pentito suonano come un’implicita professione di fede messianica: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Questo criminale riconosce o scopre in Gesù il Dio nascosto sotto l’immagine di un malfattore comune, sfigurato e non trasfigurato; egli si raccomanda a Gesù, che riconosce come il Messia del futuro regno di Dio. Gesù gli promette una salvezza immediata dopo la morte associandolo al suo destino di giusto salvato da Dio: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel mio paradiso”. Nelle parole di Gesù risalta l’attualità, l’oggi della salvezza. La salvezza è per oggi e adesso, e non per domani.
Gli altri erano là per giudicare e condannare Gesù, il buon ladrone invece ha avuto il coraggio e la forza morale di avere uno sguardo indagatore su di sé e su Cristo, di giudicare se stesso, di riconoscere il proprio peccato. Il riconoscimento dei peccati è ciò che la nostra società odierna rifiuta. Il peccato è il grande escluso da una certa società cosiddetta “laica”, e non si sente il bisogno di chiedere perdono a Dio e ai fratelli. Eppure il regno di Dio, considerando bene la figura del buon ladrone, riguarda un popolo di peccatori, pentiti e riconciliati. Perciò, come dice il prefazio di questa solennità, è “Regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace. Dobbiamo essere lieti di appartenere a un tale regno.
Don Joseph Ndoum