Don Joseph Ndoum – Commento al Vangelo del 6 Novembre 2022

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Perseveranti perché Dio è fedele

La parola di Dio di questa domenica ha per filo conduttore la speranza nella risurrezione. Questo tema ci viene proposto dalla prima lettura, tratto dal libro dei Maccabei, attraverso la storia della morte di sette fratelli. Questa scena rappresenta la drammatica storia del popolo di Dio esposto all’estrema prova della fedeltà.

Il resoconto dettagliato delle torture a cui sono sottoposti i sette fratelli, a causa della loro fede, ha lo scopo di presentarci un esempio di coraggio indomito di fronte alle sofferenze più atroci, specialmente quando si tratta di rimanere fedeli alla Legge di Dio . È in questo clima di resistenza spirituale, e non di fanatismo religioso, che la teologia spirituale verrà elaborata in seguito esaminando i martiri cristiani. Il martire è un testimone, testimone della sua fede

All’epoca in cui il libro dei Maccabei (martiri di Israele) fu scritto, nel II secolo a.C. J C, la fede nella risurrezione individuale è ben affermata, specialmente quella dei credenti. Sembra chiaramente che è grazie a Dio che siamo risorti e che dobbiamo esserne giudicati degni. Questo unisce la speranza e l’atto di fede del salmo responsoriale (sal 16) di questa domenica; senza che la resurrezione, sia direttamente affermata, essa è intravvista attraverso una professione di fede in Dio Salvatore e Maestro della vita: “Verrà il giorno in cui vedrò la tua gloria, Signore”. Quindi c’è davvero una vita nel mondo a venire; questa è una evidenza, una logica conseguenza della fede; e il culto dei si situa nella linea di questa fede.

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Sfortunatamente, la nostra speranza è sempre minacciata: facciamo finta di non sapere nulla dell’aldilà, se non che esiste. Il nostro sguardo è spesso bloccato e affascinato dal mondo da costruire quaggiù e rimane chiuso alla prospettiva di un mondo futuro. Il mondo, sappiamo come costruirlo, basta solo vedere tutto ciò che si realizza intorno a noi, e talvolta con noi. Per quanto riguarda l’aldilà, a volte sperimentiamo una profonda stanchezza o indifferenza e manteniamo una speranza così incerta da non saperne più tener conto. Tuttavia dobbiamo sempre stabilire un legame tra il nostro comportamento, la nostra fede in Dio e la nostra speranza nell’eternità.

Gesù Cristo ha tutto il suo posto nella speranza di eternità dei credenti. La sua risposta ai Sadducei, nel testo evangelico, comporta un intero insegnamento sulla vita nell’aldilà. Questi hanno una concezione troppo materiale della risurrezione e una conseguente mancanza di fede nella potenza di Dio. Affermavano che non c’era “né resurrezione, né angeli, né spirito”. È sul rifiuto della risurrezione che entreranno in discussione con Gesù.

La risurrezione era un punto di dottrina che li separava dai farisei e, negandola, pretendevano attenersi all’antica credenza di Israele, dimenticando che la rivelazione di Dio è stata progressiva. Ammettevano la sopravvivenza dell’anima dei giusti, dopo la morte, ma nello Scheol, dove sono tutt’altro che felici, vivono si, ma le loro vite sono imperfette. La credenza nella risurrezione apparve nel periodo dei Maccabei, nel II secolo a.C. J C, sotto l’influenza di una vita religiosa più intensa, nel desiderio di una più stretta comunione con Dio e di un mondo migliore.

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L’esistenza miserabile nello Scheol non poteva riempire quelle aspirazioni. Questa concezione era ormai superata. Solo l’incontro dell’anima con il corpo, presso Dio, poteva soddisfare i credenti. Questa speranza della risurrezione si rafforzò durante le guerre di religione. Ma per i Sadducei era un nuovo dogma e lo respinsero con la stessa facilità con cui facendolo, si ritrovarono in accordo con la filosofia greca che insegnava che il corpo è una tomba per l’anima e appena ne esce fuori conosce una vera liberazione.

I sadducei iniziano invocando l’autorità di Mosè, che Gesù non può rifiutare. Secondo Dt 25, la legge di Mosè, quella del levirato, obbligava colui, il cui fratello sposato moriva senza avere figli a sposarne la vedova per dare posterità a suo fratello ; il figlio primogenito nato da questo matrimonio era considerato come il figlio del defunto. L’esempio è esagerato e interessato: propongono il caso di un morto senza figlio, i cui sei fratelli hanno successivamente sposato la vedova, senza che nessuno di loro abbia avuto figli, nemmeno lui. L’esagerazione nel numero sette è per gettare il discredito sulla risurrezione.

A sua volta, la donna muore. Quale sarà la sua situazione se avrà luogo la risurrezione? Di quale dei sette fratelli sarà la sposa? Tutti hanno uguali diritti su di lei, poiché nessuno di loro ha avuto un figlio, e tutti si sono conformati alla legge di Mosè. In effetti, questa situazione è grottesca, ma Gesù la confuta nella sua risposta. Nell’attuale ordine della natura, il matrimonio è una condizione normale dell’umanità: è necessario per la procreazione. Ma nel secolo futuro, per coloro che sono stati giudicati degni di prenderne parte, non può esserci questione di matrimonio.

Ci sarà quindi un ordine di cose diverso da quello attuale: la ragione che rende il matrimonio oggi necessario non esisterà più. Infatti coloro che sono risuscitati dai morti non muoiono più: non devono più preoccuparsi della diffusione della razza umana, preoccuparsi di assicurare la continuità della discendenza, dato che per i patriarchi era l’unica possibilità di sopravvivere; da qui la sventura di morire senza avere figli.

Gesù dichiara inoltre che coloro che risorgeranno dai morti saranno come angeli, somiglianza che non è un’identità di natura, ma un’associazione alla stessa vita divina. D’altra parte, immortali come gli angeli, non dovranno più preoccuparsi della procreazione. La risurrezione dà loro nuova vita: figli della risurrezione, sono figli di Dio, acquisendo una vita incorruttibile.

Tuttavia, va sottolineato, che l’amore sopravvivrà oltre la morte, ma sarà purificato e reso più vero. Gesù non dice che quelli che si sono amati non si conosceranno più; ma lascia piuttosto intravvedere il completamento di ogni l’amore, al di là della sessualità nel suo aspetto carnale, possessivo, esclusivo. Confrontandoci con gli angeli, Gesù usa un linguaggio simbolico per insinuare, soprattutto che a partire dalle realtà di questo mondo, non ci sono possibili rappresentazioni con il mondo futuro. Non sono né uomini né donne: gli angeli sono d’ora in poi in quello stato di perfezione che sarà il nostro. Vedono incessantemente il volto di Dio: noi pure vedremo e contempleremo Dio.

In questa discussione, per finire, Gesù porta una nuova prova sulla risurrezione, basata sull’autorità di Mosè che i Sadducei avevano appena invocato: nell’episodio del roveto ardente (Es 2, 1s,), Dio dice di essere il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe. Ora non è il Dio dei morti, ma dei vivi. A prima vista, può sembrare che si debba concludere superficialmente sull’immortalità dell’anima piuttosto che sulla resurrezione. Ma ciò che è molto interessante è che Gesù dà a questo brano un significato molto più profondo: cioè che il Signore continua ad essere il Dio di coloro che lo hanno servito e che continuano ad essere vivi per lui. I patriarchi sono dunque ancora vivi.

In verità, Dio ha creato l’uomo per l’immortalità; è attraverso l’invidia del diavolo che la morte è entrata nel mondo (Sg 2: 23-24). L’intenzione di Dio non poteva essere eternamente frustrata dall’intervento del diavolo. In Gesù Cristo, l’uomo ha riacquistato il suo diritto all’immortalità, che ha la sua più bella espressione nella risurrezione. Quindi c’è una vita nel mondo a venire.

È grazie a Dio nostro Salvatore e nostro Maestro di vita che siamo risorti. Questo raggiunge la speranza di eternità dei martiri di Israele della prima lettura. La nostra speranza nella risurrezione è radicata nella Rivelazione. È la parola di Dio, non degli uomini, che ci rivela il significato del destino del mondo e dell’uomo. Essa ci presenta, non l’illusione di una storia senza fine, una ripresa perpetua (reincarnazione), ma la pienezza del mondo con Gesù. Dio, in Gesù suo Figlio ci fa trionfare sul male e sulla morte. Tuttavia, un solo sentiero ci conduce verso la risurrezione e la vita eterna, poiché è di essa si tratta: questo cammino è la fedeltà alla Parola e alla volontà di Dio.

Don Joseph Ndoum


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